PRATO. Irriverenti. Dissacranti. Ciniche e sadiche. Ma divertenti, molto divertenti e soprattutto, dolcissime. Al Fabbricone di Prato, dove sono state, in scena, fino a domenica scorsa, non torneranno più, ma i vostri bambini, quelli addomesticati alla violenza, alla cruenza, alle morti violente dai telegiornali, prima ancora che dai videogiochi, portateceli a vederle e spiegate loro che la vita, e la morte, possono essere un gioco, al quale, prima o poi, nessuno può sottrarsi. Loro sono il gruppo canadese Old Trout Puppet Workshop e il loro ultimo spettacolo, quello che fa macabramente il giro del mondo, si chiama Famous Puppet Death Scenes, burattini mutilati, con sguardi inquietanti, che muoiono sotto i colpi, irremovibili, di gratuite cattiverie, animati dietro le quinte, che sono le seste, ma anche davanti, cioè le quarte, dalle tre attrici (tre versioni, meravigliose, di Uma Thurman: la vera, la mora e l'asiatica) che a furia di immedesimarsi nei loro personaggi inanimati han finito per somigliargli, assumendo, anche loro, smorfie, deambulazioni e corpi clowneschi. Una mattanza di innocenti burattini che non hanno la minima intenzione di far ridere a crepapelle i loro spettatori, ma desiderano, riuscendoci perfettamente, a intimorirli, vista la loro lucida, agghiacciante, cattiveria, fino al punto che, onde evitare incubi, inizino a ridere, ma solo per paura. In Italia, per fortuna, stavolta, non arriviamo in ritardo; dalle nostre parti, con meno crudeltà, ma altrettanto cinismo, ci pensa Marta Cuscunà e i suoi manufatti, immersi addirittura in storie di noir poliziesco, a dare il senso del vero senso dei burattini. Restiamo al Fabbricone e al piccolo sipario nel bel mezzo del palco, sotto un orologio che segna perfettamente l’orario di inizio dello spettacolo, anche se sul quadrante, oltre alle lancette delle ore e dei minuti, ce n’è un’altra, che non riusciamo a collocare. Mentre la gente prende posizione in platea, alcuni motivi fanno da sottofondo musicale al posizionamento degli spettatori; canzoni di estrazione popolare slava, sound sconosciuti e quello scherzo, perfettamente orchestrato e splendidamente riuscito, escogitato da Adriano Celentano e la sua Prisencolinensineinciusos. Che relazione possa esserci tra quel brano italico, profondamente ironico e altamente patriottico, dell’autodidatta milanese e il Canada non riusciamo a comprenderlo; ma non è questa l’unica relazione che sfugge alla nostra intuizione. È lo spettacolo nel suo insieme a spiazzarci del tutto, regalandoci, comunque, del cattivissimo inaspettato piacere e non solo per non averlo capito. Si ride di gusto della totale mancanza di rispetto, della sorda ignoranza, della totale assenza di clemenza. I burattini costruiti sono destinati, come polli d’allevamento, a morire per il gusto di saziarci, senza voler dare la più pallida lezione di bontà, tra sparatorie, annegamenti, suicidi, tragici incidenti di caccia e improvvise apparizioni di cannibali mostri deformi, che arrivano in scena clandestinamente e fanno il loro porco dovere, proprio mentre un pugno gigantesco, che ricorda la sagoma stilizzata dei meravigliosi tempi di Lotta Continua, cade a piombo dall’alto schiacciando, inesorabilmente, quei poveri burattini, nati per i grandi, che per non aver paura, fanno meglio a farsi accompagnare dai più piccoli, che a certe scene, sono ormai abituati.