PRATO. Succede con parsimoniosa frequenza di assistere a uno spettacolo teatrale che non fa una piega, dall’inizio alla fine, anche mettendo, contemporaneamente, sotto la lente dell’inflessibile ingrandimento, la recitazione dei protagonisti, la regia, la scenografia, l’impianto musicale e la fedeltà, più o meno distopica, visto l’argomento, che la rappresentazione vuole o vorrebbe avere nei confronti del testo originale. Ci è successo ieri sera, al Fabbricone di Prato, dove è andato in scena Il fuoco era la cura, liberamente e surrealmente ispirato a quel libretto meraviglioso che è Fahrenheit 451, di Ray Bradbury, il nuovo lavoro di quelli di Sotterraneo, che stavolta, però, han deciso di restare, ma senza nascondersi, dietro le quinte e mandare allo sbaraglio Flavia Comi, Davide Fasano, Fabio Mascagni, Radu Murarasu e Cristiana Tramparulo (in ordine alfabetico, non ne conoscevamo uno). Il risultato, tra l’ormai affidabilissimo marchio di fabbrica di Sara Bonaventura, Claudio Cirri e Daniele Villa (in ordine alfabetico, ma li conosciamo da sempre, per fortuna) e la felicissima, seppur immaginiamo faticosissima, trasposizione sul neonato quintetto, è senza mezzo termine alcuno, straordinario. L’idea, geniale e ormai felicemente collaudata, è quella di dare l’illusione di alzare o abbassare, dipende quale sia la monade che ha voce in capitolo, il lavoro teatrale a un quiz televisivo, a un puzzle consollistico, a un’irriverente parodia. Con il trascorrere delle immagini, del tempo, della trama e del collante attoriale tra quelli che popolano il palco, però, chiunque, tra il pubblico, ha l’obbligo di fare parecchia e forbita attenzione, perché quello che aveva l’aria di essere un divertente e dissacrante gioco di (alta) società, è in realtà, un’immersione, totale, in un altro mondo, nel quale, per ineludibile ironia, non può che finirci anche quello dei singoli manovratori e del loro background. La voglia, doverosa e parecchio attinente a ciò che la sorte e la perseveranza ci han dato in dote, potrebbe e dovrebbe essere quella di scandagliare, con dovizia di particolari, riferimenti, richiami e allitterazioni teatrali, sempre targati Sotterraneo, del nuovo lavoro della compagnia, prodotto, con manifesta cupidigia, dai padroni di casa del Teatro Metastasio, in collaborazione con la compagnia stessa, il Piccolo Teatro di Milano, Teatro d’Europa, Emilia Romagna e Teatro ERT/Teatro Nazionale. Invece, della scanzonata fedeltà al testo, della riverenza bibliografica e cinematografica e della tragica contemporaneità di quelle previsioni che all’epoca parvero tanto esagerate, quanto fuori luogo, e che si sono invece rivelate drammatico presagio di quello che vivremo, se riusciremo a viverlo, non spenderemo nemmeno una sillaba, affogando, al contrario, nell’orgia edonistica di una rappresentazione maiuscola, con i cinque protagonisti preparati, soprattutto atleticamente, a questa meravigliosa dimostrazione di snobistica coordinazione psicofisica, a tratti eccelsa e sublime, soprattutto quando riesce a spezzare, con movenze ridoliniane e urla letteralmente disarticolate, senza dimenticare gli improvvisi passaggi, a bassa quota, di jet supersonici e bolidi stradali che sfrecciano, oltre ogni ragionevole limite, nelle vie cittadine, una trama volutamente arzigogolata e contorta, onirica e ironica, feroce e divertente, innovativa dall’angolazione del teatro che si sta formando, ma impeccabile da quella del teatro di cui non si può fare a meno, per la cui totale comprensione occorre necessariamente attendere, con premurosa tenzione, i titoli di coda. Abbiamo avuto il timore, non lo nascondiamo, che Sotterraneo, alla soglia dei festeggiamenti dei venti anni di attività, con una valanga di premi e riconoscimenti assegnati, in ordine sparso, a Dies Irae, Il giro del mondo in 80 giorni, Be legend!, Overload, Be normal!, L’angelo della storia, Post-it, War now! e qualcosa dimentichiamo sicuramente, non certo la loro duttile, intelligente, bravura, rischiassero un po’ troppo delegando una rappresentazione così articolata, impegnativa, con un saliscendi simile a infernali montagne russe, a quattro giovani e uno pseudoveterano le loro gesta sceniche; la paura è passata in men che si dica tanto che ci permettiamo il lusso di suggerire, e addirittura ipotizzare, un giro del mondo di questo spettacolo, con Sara, Claudio e Daniele che seguono le rappresentazioni via internet, stravaccati sui divani, con birra e pop corn sui tavolini in vetro nelle sale da pranzo e la consolle, a portata di mano, per giocare, ogni tanto, ai clown bianchi.