PRATO. Tre storie delle quali il mondo ne è pieno, Torino compresa, dove si svolge la trama di Le ultime cose, prima pellicola della giovane documentarista Irene Dionisio, che riesce a catalizzare attorno al Banco dei Pegni del capoluogo piemontese una giovane transessuale, Sandra (Anna Ferruzzo), Stefano, un giovane neo assunto (Fabrizio Falco) e Michele (Alfonso Santagata), un anziano pensionato. Tre vite lontane, che forse non si sarebbero incrociate mai se il destino non le avesse portate a incontrarsi in quell’ufficio. Tutti e tre alla ricerca di riscatto. E nessuno riuscirà a trovarlo. Tre piccole storie ignobili, come canterebbe Francesco Guccini, di normale tragica amministrazione, contemplate solo sporadicamente dagli studi psicologici e di mercato, talvolta dalla cronaca.

Il film, uscito nel settembre dell’anno appena concluso, è stato proiettato ieri sera, 2 gennaio, al Terminale di Prato, gratuitamente, per la delizia di una manciata di spettatori, quelli che hanno deciso di sfidare la serata grigia, umida, fredda e l’ipocondria di sempre, non solo post-natalizia. Un bel film, molto documentaristico, per fortuna, del quale Irene Dionisio, oltre che la regia, firma anche la scenografia. Certo, in alcuni momenti si capisce che la ragazza, esordiente, di strada ne dovrà fare ancora tanta. L’augurio, però, è che la fabbrica delle pellicole, che partorisce sovente merda che poi distribuisce con dovizia di sale cinematografiche, le dia la possibilità di mettere a fuoco altre idee, nuove iniziative. La triplice strada di Le ultime cose è veramente un affresco sussurrato di vicende ordinarie che si intersecano nel magma metropolitano senza che nessuno se ne accorga, se non i diretti interessati e i loro parenti più affini. Storie di solitudine, di difficoltà, che proprio in questo periodo se ne consumano in quantità industriale; momenti che non hanno mai picchi di dolore e ascolto e che proprio per questo scivolano direttamente nel dimenticatoio. Uno sfiorire lento e sistematico ravvivato, talvolta, da momenti di amore intenso, sui quali la telecamera non indugia mai troppo, evitando l’irrinunciabile incresparsi del broncio; una reporter, Irene Dionisio, che non gioca sui sentimenti, ma si limita a raccontarne le cause e che, se proprio si deve, ne certifica gli effetti. Un mondo che si arrovella nell’augurio di cercare di sopravvivere a se stesso, con piccoli escamotage a rendere, come lo sono quasi tutte le soluzioni offerte dal banco dei pegni, attorno al quale gira il film e la sua precaria esistenza, esasperata, in modo grottesco, dall’illegalità di alcuni sinistri e viscidi personaggi, che sempre in virtù dell'abilità cronachistica della regista, non fanno mai parte della schiera dei cattivi. Un film che trattiene volutamente le emozioni, che denuncia la facilità alla naturale connivenza con il crimine, comprimendo la tristezza nella scatola delle rappresentazioni, quelle che vanno in onda tutti i giorni alle solite ore e che ormai tutti, ascoltatori e spettatori, sono cinicamente abituati a sentire. E digerire.

 

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