di Marcello Bugiani

La vendetta è un piatto che si consuma freddo, d'accordo, ma non tutti possono avere la pazienza, né la classe, di Edmond Dantès, alias il Conte di Montecristo. Anche José, tranquillo frequentatore di un bar di periferia, attende per anni il suo momento, poi, vendetta, La vendetta di un uomo tranquillo, sarà. Sì, perché il titolo italiano in realtà svela molto di ciò che attende l'ignaro spettatore: l'originale spagnolo, Tarde par la ira (Tardi per la rabbia), avrebbe lasciato un margine di suspense più ampio, almeno buona metà di film. Il buon Alfred Hitchcock avrebbe bacchettato i distributori italiani. Ma torniamo al film di Arévalo, qui alla sua prima prova da regista. Non si tratta, a mio modesto parere, di un capolavoro, ma di un film di buona e onesta fattura, con molte lacune, in primo luogo somigliare a tante pellicole già viste.

Senza scomodare troppa cinematografia americana, con l'eroe che decide di farsi giustizia travolgendo colpevoli e innocenti in un drammatico crescendo di orrore, torna inevitabilmente alla memoria l'Alberto Sordi del Borghese piccolo piccolo. Si può fare un grande noir anche ripercorrendo sentieri già tracciati; mancano però ad Arévalo le pause cariche di suspense dei Fratelli Coen. I personaggi da bar alla José hanno il profumo di salse fatte in casa: non trasudano epopea come gli spietati assassini che attraversano le praterie dell'Arizona. Non si usano strani attrezzi per uccidere, ma banali utensili o doppiette da mercato dell'antiquario. Non che questo sia casuale, d'altronde; anzi è il frutto di una precisa scelta stilistica del regista: le inquadrature, specie all'inizio, sono molto strette, la camera è spesso incollata alla nuca del protagonista o spiattellata a pochi centimetri dal suo naso. Arévalo vuol farci assaporare l'odore e la pesantezza dei corpi, l'apparente torpore di José, l'ambigua sensualità di Ana. Tutto è naturalmente imperfetto, sgarrupato, a sottolineare la fatica di tirare avanti in un quotidiano provincialismo. Ma non si va molto oltre, nonostante la buona credibilità degli attori, in particolare dei tre componenti il triangolo José-Ana-Curro. Insomma il film non tira fuori qualcosa di particolarmente inedito o geniale da giustificare il livello di entusiasmo che ha accompagnato l'uscita del film; Raùl Arévalo ha un buon curriculum di attore, è stato protagonista di un ottimo film spagnolo di un paio di anni fa, La Isla Minima, al quale in tanti hanno accostato (impropriamente) La Vendetta di un uomo tranquillo. Il lato oscuro di José niente ha da spartire con la profondità del Detective Pedro, protagonista della Isla, questo lo si nota in modo più che evidente. Mi viene in soccorso, per chiudere il giudizio, il famoso sei meno meno di tanti compiti in classe d'italiano: benino sì, ma si potrebbe fare anche un po' di più!

 

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