COME A TEATRO. Sembra sempre che Alessandro Gassman, con quel cognome di spaventosa ingombranza che si porta addosso, abbia il terrore di provare a stupire. Lo diciamo perché siamo convinti che se una volta si mettese in animo di fare un capolavoro, saprebbe come fare. E’ un’impressione che abbiamo avuto vedendolo all’opera sui palcoscenici e anche con Il premio, di cui è regista, nelle sale cinematografiche dallo scorso 6 dicembre, siamo esattamente in quel limbo. La pellicola è spudoratamente gradevole; per la costruzione – un viaggio in macchina da Roma a Stoccolma -, che per il cast scelto dal figlio d’arte: al suo fianco, Oreste, figlio palestrato, cornuto e coglioncello di uno scrittore insignito dal Nobel per la letteratura che va a ritirare nella capitale norvegese, ci sono Lucrezia (Anna Foglietta), la sorella blogger aspirante, solo per censo, a diventare una scrittrice, Rinaldo, il segretario del padre, un magnifico Rocco Papaleo e Giovanni Passamonte, lo scrittore, un incommensurabile Gigi Proietti, che in più di una circostanza ricorda, con meravigliosa spudoratezza, il grande Vittorio.
La famiglia, che si riunisce per l’evento mondiale, è quella classica del terzo millennio: ognuno per la propria strada, disunita, senza tessuto connettivale, divisa, ironicamente, tra sogni e frustrazioni, soprattutto in virtù di un padre che per tutti è veramente una montagna troppo alta da scalare, un padre assente, ma asfissiante, un indefesso libertino al quale nessuna delle numerose amanti riserva rancore. Un road movie indovinatissimo, che merita il prezzo del biglietto per la continua offerta di spunti riflessivi che sono il pane distribuito durante i due lunghi giorni del viaggio, anche se in più di una circostanza si ha tangibile l'impressione che ad Alessandro manchi un po' del coraggio di Vittorio, con qualche eccesso di ironia e paradosso natalizi e un epilogo maledettamente buonista che risente, siamo convinti, della vicinanza della festa delle feste delle ipocrisie per antonomasia.