di Francesca Infante

INSOMMA l'ideale dell'ostrica! - direte voi. - Proprio l'ideale dell'ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi” (Fantasticheria – Giovanni Verga). Sapete cos'è l'ideale dell'ostrica? È la capacità di rimanere legati al proprio ambiente, senza ribellarsi alla propria condizione. Quando l'ostrica si stacca dallo scoglio muore, inevitabilmente. Così anche gli individui, che vogliono cambiare la loro condizione di vinti, si allontanano dalla posizione che la vita ha scelto per loro, cercando di fare il grande salto, ma finiscono risucchiati dal mondo. Questo Verga ce lo diceva nel 1880. Nel 2019 Giorgio Tirabassi ce lo ricorda, e lo fa con un film dal sapore di vecchio cinema italiano, che tanto mancava. Il grande salto racconta la storia di Nello e Rufetto, due rapinatori appena usciti di carcere.

Rufetto ha una famiglia, che lo detesta; Nello cerca disperatamente una donna che gli voglia bene. Insieme decidono di fare un'ultima rapina, che li sistemi per sempre, che li tolga dalla loro condizione di perdenti. Ma il destino sembra remargli contro. Ogni tentativo fallisce e la vita, ogni volta, li riporta al proprio posto, in maniera brutale. Il film, confezionato come un crime, è in realtà una commedia nera, che ruota intorno all'infelicità di due personaggi rifiutati dal mondo, che trovano appoggio solo tra di loro. Due personaggi che distruggono l'idea del criminale, che negli ultimi anni si era creata nel mondo del cinema (basta guardare Suburra). L'idea della pericolosità di questa figura, loro, la ribaltano, portando in scena due figure maldestre, sfortunate, che nemmeno la mafia si prende la briga di cercare poi così tanto. Giorgio Tirabassi confeziona due personaggi legati benissimo tra loro, all'interno di una storia dove la rapina passa in secondo piano, ma ci mette in contatto con la condizione di disagio di due figure che vorrebbero solo essere amate. Il grande salto è un film che ci riporta alla mente (con malinconia) il vecchio cinema italiano, quello pieno di sentimenti, non patinati o espressi apertamente, ma quelli nascosti da un'aspra comicità. Quel cinema dove un sospiro valeva più di mille parole, dove l'inespresso era più significativo di ogni spiegazione. 

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