di Marcello Bugiani

NON VOGLIAMO ASSOCIARCI ai tantissimi che hanno salutato il nono film di Quentin Tarantino quale ennesimo capolavoro; un senso di leggera insoddisfazione addosso terminata la proiezione, qualcosa di non ben compreso forse, una sorta di stonatura che abbiamo percepito dentro ma della quale non riuscivamo a definirne i contorni. Eppure di Tarantino c’è tutto in queste quasi tre ore di cinema; i cinefili e soprattutto la folla di adoratori avranno rivisto e sezionato il film cento volte per scoprire dettagli, riferimenti, omaggi e quant’altro. Un film del genere avrebbe potuto farlo soltanto lui, di questo possiamo esserne certi. E allora che sia stato questo forse a lasciarci perplessi? Il fatto che tutto il mondo si aspetti un film di Tarantino pienamente tarantiniano e che puntualmente (ormai almeno da The Hateful Height) il risultato sia pari alle attese? Dopo averci abituato a capolavori che sovvertivano regole cinematografiche, ma soprattutto ci conducevano per mano dentro storie assurde ma strepitose, personaggi epici, il tutto sempre condito da sapienti ma mai stucchevoli richiami al Cinema d’Autore, fosse anche quello dimenticato di serie B, C’era una volta…a Hollywood pare un temino scritto per la sufficienza, perché da Tarantino è doveroso attendersi di più.

Il film è delizioso, perfettamente godibile, ma stavolta più per la prestazione degli Attori che per la mano del Regista. Su tutti, Brad Pitt, lontano parente dello scialbo protagonista di Ad Astra, presentato a Venezia, tra pochi giorni in sala. Possiamo naturalmente dare a Tarantino il merito di saper valorizzare al meglio i tantissimi Attori di cui si circonda, il cast è veramente notevole, in numero e qualità. Altro grande plauso per Leonardo Di Caprio, strepitoso nel ruolo di Attore hollywoodiano che nonostante una certa notorietà già acquisita in format televisivi, stenta a sfondare nel cinema che conta, quello degli Steve McQueen per intendersi. Altro limite del film, ma questo per noi Europei, da sempre viziati da Tarantino nei precedenti lavori, è quello di rinviare a una tradizione in gran parte televisiva americana a noi sconosciuta. Non possiamo che perdere i tantissimi riferimenti a quella epopea della quale a noi sono arrivati soltanto gli echi (i Drive In, le pubblicità delle sigarette ecc…). In tutti i precedenti film di Tarantino ci si muoveva nel solco di un cinema che conoscevamo come le nostre tasche e che ridava pure orgoglio nazionale viste le precarie condizioni della cinematografia italiana degli ultimi venti anni; in C’era una volta… al di là del richiamo evocativo del titolo, alla citazione degli spaghetti western e dei film di Corbucci, i riferimenti sono altri, a noi più sfuggenti, salvo la narrazione della Hollywood di fine anni ’60 dove ai protagonisti era ancora riconosciuta una sorta di sacralità e mistero (Di Caprio è vicino di casa di Roman Polanski e mai osa suonare il campanello e presentarsi al grande Regista). Con l’eccezione dell’ultimo quarto d’ora, che non può bastare a risollevare completamente il film, forse quello che manca sono le grandi sequenze di pathos puro del quale Tarantino è sempre stato un perfetto compositore. Se ripensiamo a Bastardi senza Gloria e alla lunga scena iniziale, perfetta sotto il profilo della suspense e alla tante che impreziosiscono il film e che almeno per la mia idea di cinema costituiscono la vera genialità d’artista di Tarantino, non posso che restare deluso da C’era una volta…, dove queste tensioni sceniche mancano, fatta eccezione per la già citata scena finale. Restano, è vero, a parte l’ottima prova degli Attori compresa Margot Robbie (sacrificata da una presenza un po’ marginale) delle scene memorabili come la sfida fra Brad Pitt e Bruce Lee, il delizioso gioco di specchi tra Margot Robbie/Sharon Tate in sala a vedere il film da lei interpretato e altro ancora perché a Tarantino non possiamo certo rimproverare il fatto che i suoi film abbiano tempi morti. Siamo appassionati dei film sul cinema, di quelle pellicole dove entriamo in un gioco di rimbalzi fino a perdere l’orientamento tra realtà, finzione e finzione nella finzione. Solo i grandi Registi (su tutti Francois Truffaut con Effetto Notte) sono riusciti a raccontare magicamente questo intreccio; il tentativo di Tarantino non ci sembra abbia aggiunto qualcosa di memorabile a ciò che abbiamo visto in passato.

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