di Stefania Sinisi

FIRENZE. Ti voglio bene, sta’ attenta, mentre lei è in ospedale, vestita, pronta per tentare di arginare il male, io sono inerme. Le mie nottate restano insonni, nella mente solo un susseguirsi di immagini. Per il momento ho superato solo disorientamento, paura, incredulità, annichilimento, ma ho ancora tanta confusione, chiusa in casa nel mio piccolo mondo mi rimane solo il senso d’ impotenza, sono invasa dalla mera inutilità. Lei è là, sul fronte, da dove mi manda un grande cuore blu fatto con le sue mani incerottate nei guanti protettivi (il simbolo internazionale dell’emotività umana). Il blu, colore dell’equilibrio, della costanza, della profondità, dello spazio. È il colore che va indossato per affrontare le prove difficili della vita. Lei lo fa, le affronta con determinazione e il cuore lo sfodera con assoluta spontaneità, attraverso le sue mani, che rappresentano l’energia, l’azione, esprimono l’audacia, l’audacia di chi deve reagire, i medici.

Nel mio delirio di sgomento, mi ributto davanti alla TV, dove vengo catapultata da un notiziario all’altro e sebbene io non voglia dibattere di politica, provo comunque una strana compassione per il Presidente del Consiglio, il quale porterà dentro di se’ il peso inequivocabile della morte. Subito dopo sfilano le bare, interminabili distese di bare, mentre le guardo, non vedo numeri, non vedo volti, vedo sogni infranti. Osservo l’esercito: è disarmante e rimango attonita. Gli uomini che svolgono un lavoro incessante, per scaricarle tutte, ininterrottamente fino agli inceneritori. È su di loro il carico fisico e morale, poiché sono gli unici addetti all’estremo saluto. Ascolto l’angoscia assordante nel loro procedere muti, leggo il dolore nei loro volti nascosti dalle tute bianche. Vorrei poterli fermare, vorrei afferrarli uno ad uno, vorrei scuoterli, vorrei stringerli, vorrei estirpare in loro tutte quelle emozioni deprimenti e non oso immaginare quanto sia desolante. Mentre io sono qui chiusa nella futilità, con indosso le mie ciabatte ad aspettare, leggo una poesia di Wislawa Szymborska
Chi ne afferma l'onnipotenza
è lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non è.
Non c'è vita
che almeno per un attimo
non sia stata immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell'attimo.
Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto
.
Questo attimo interminabile che stiamo vivendo ora è il tempo raggiunto che non sarà stato vano, inutile è quindi il mio senso di impotenza, perché quando torneremo a circolare liberi, a riabbracciarci tutti, avremo chiaro in noi il tempo dell’audacia, dell’agire, che ci permetterà di risollevare le nostre coscienze e pian piano anche quelle degli altri.

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