di Elena Bernardini
The French dispact (2021), il film di Wes Anderson, è un’ode alla stampa libera. Ovvero, a giornalisti che liberamente scelgono di fare indagini sulla vita vera, quella che può essere interessante non solo per i cittadini di Ennui-sur-Blase (città immaginaria, letteralmente Noia sull’Apatia), ma anche ad un pubblico ampio, quello al quale sta a cuore un tipo di approfondimento che porta a compimento l’indagine su uno specifico argomento, costi quello che costi, soprattutto in termini di indipendenza e sarcasmo. Certo, la redazione del giornale che il film racconta non è esattamente quella di una rivista normale: facciamo conto che sia un miscuglio fra una rivista di grafica illustrata e una di indagini sociologiche un po’, come direbbe qualcuno, radical chic. Quello che risulta è una serie di articoli su argomenti vari e socialmente molto rilevanti, con la conduzione anarchica e creativa di ciascun redattore. Si compone di quattro articoli che i giornalisti scrivono per il numero di commemorazione per la morte del direttore della rivista, Arthur Howitzer Jr., che aveva espressamente richiesto che la pubblicazione cessasse alla sua morte, peraltro improvvisa. I redattori si riuniscono per presentare i loro pezzi per la pubblicazione, tenendo sempre presente il motto che campeggia sopra la porta dell’ufficio del direttore: Don’t cry (Non piangere).
Ne escono quattro quadri di vita sociale che diventano un’altra ode, stavolta al cinema di sempre: primo fra tutti il cinema francese (Truffaut, Chabrol, Rohmer), poi Bunuel, il neorealismo italiano, il cinema di inchiesta americano, il miscuglio fra cinema ripreso e cinema di animazione (ad altissimi livelli, peraltro), tutto condito con il sarcasmo di Wes Anderson, che ci ha abituati a vedere la realtà con gli occhi dei Tanenbaum, senza edulcorare, cioè, quello che accade intorno a noi, ma guardandolo con ironia, quella vera. Non stiamo a elencare gli attori, un parterre des rois che lascia a bocca aperta. Non stiamo nemmeno a descrivere ogni singolo capitolo (quattro) del film. Bisogna andare a vederlo. Evitate la visione se vi aspettate una commedia che faccia ridere e basta; si tratta di un film da intenditori: si apprezza (e molto) solo se si capisce. E non è detto che si capisca tutto, comunque. Una seconda visione (e forse anche una terza) farebbe apprezzare ancora di più la storia e la struttura del film, dove la camera mette sempre il protagonista al centro della scena, quasi a evidenziare il ruolo del cronista che non deve mai perdere di vista il fulcro centrale del suo articolo per riuscire a scomporlo in tutte le sue parti, anche in quelle meno visibili e più scomode. Una chimera per chi ambirebbe a poter fruire di una stampa fatta così.