di Niccolò Mencucci

RITORNA NELLE SALE un grande film che, per quanto tempo passi, è sempre un piacere rivederlo. Uscito per la prima volta in Italia nel 2010, Porco Rosso di Hayao Mihazaki è sempre sul pezzo. Certo, passano gli anni, la tecnologia si fa sempre più sofisticata, le immagini diventano sempre più digitali e computerizzate, ma Porco Rosso ti tiene incollato allo schermo per tutti i novantadue minuti, e senza mai cadere di stile, con una storia solare, ma malinconica, energica, ma dai tempi lunghi, priva di sentimentalismi, ma emozionante, divertente, ma anche seria. Non a caso la casa cinematografica, Lucky Red, ripropone nelle sale piccoli capolavori come questi: per farci ricordare che anche il cinema d’animazione sa elevarsi al pari di quello live-action (con attori in carne d’ossa). Ma chi è Porco Rosso? Nato Marco Pagot, è un pilota dell’aviazione italiana che, per un inspiegabile maleficio alla fine della Prima Guerra Mondiale, si è ritrovato di punto in bianco con le fattezze di un porco. A causa del sortilegio, non ha più modo di coltivare alcuna relazione umana, nemmeno amorosa, come quella che aveva con l’amica d’infanzia Gina, ora proprietaria di un albergo su un’isoletta dell’Adriatico.

E come unica fonte di sostentamento si è dovuto riciclare come cacciatore di pirati aerei, un’attività molto redditizia fino a quando il pilota americano Donald Curtis, assunto dagli stessi pirati aerei, non ha cercato di farlo fuori. Salvato dall’agguato, si nasconde a Milano e manda a riparare il suo veivolo da un suo amico meccanico, proprietario della Piccolo S.P.A. Lì conoscerà la nipote di lui, la giovanissima progettista Fio. Sarà con lei che Porco Rosso cercherà di riscattarsi e di affrontare per la seconda e ultima volta l’americano Curtis. Fino a qui può sembrare una classica storia di avventura e di amore, un classico per bambini e adolescenti, come potevano essere i due precedenti film di Hayao Mihazaki, Il mio vicino Totoro o Laputa. In realtà Porco Rosso è anche una storia di critica sociale e politica. Ambientato nell’Italia del 1929, Mihazaki mette in scena anche la situazione politica in cui versa il Bel Paese, con i fascisti, gli squadroni punitivi e le persecuzioni all’ordine del giorno. Un momento storico difficile, in cui essere contro il sistema significa rinunciare alla propria libertà, nascondersi, coprirsi il volto, come fa Porco Rosso ogni volta che gira per l’entroterra. Inutili i tentativi dell’amico Arturo Ferrarin di farlo entrare nella Regia Aeronautica: lui non vuole. Marco per i fascisti è un porco rosso, un sovversivo, un ricercato. E tale vuole rimanere: Piuttosto che diventare un fascista meglio essere un maiale. Questa scelta di introdurre temi politici e sociali ha avuto un ottimo successo. Lo stesso Mihazaki infatti ha riproposto la medesima formula in un altro film, Princess Mononoke. Oggi film come questi possono essere d’ispirazione, specie in un periodo storico molto turbolento come il nostro. È una storia che si regge tutta sull’umanità di Porco Rosso, sul suo viaggio tra le sponde dell’Adriatico, perfettamente in sintonia con le musiche di Joe Hisaishi. Forse l’unico difetto di questo film è il fatto che i personaggi siano tutti di facciata, bidimensionali, e tutti dipendenti dalla complessa personalità di Marco. È una costante del cinema di Mihazaki: protagonista e intreccio sono la stessa cosa. E se guarderete questo film, disponibile nelle sale dal 1° al 7 agosto, lo noterete soprattutto verso la fine.

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