di Adriana Casalegno
VIVIDI scivolano i disegni di Gianluigi Toccafondo, accompagnati dalle voci carezzevoli di due giovani genitori che spiegano alla figlia, e a noi, da quale desiderio è nata e dove è stata portata per sfuggire ai mostri dei mondi cattivi. Il mistero della nascita e della protezione ci avvolge con colori e forme di mare, di terra. La favola, L’invenzione della neve - per la regia di Vittorio Moroni - si interrompe e siamo nella macchina di Carmen, abitata da palloncini vaganti, animali gonfiati. Con lei resteremo. La ascoltiamo cantare; la seguiamo mentre entra in una casa a picco sul mare; impariamo che vuole restare lì per aspettare la figlia Giada mentre il compagno, che arriva successivamente, le chiede di andarsene, sicuro che sempre distrugge; sentiamo la sua offesa, la sua ferita di aver perso tutto, tutto le è stato tolto per un passato di dipendenze, anche la figlia che può vedere solo un sabato ogni quindici giorni. In quella casa si era dipanata la loro storia, una volta disegnata sul muro. Carmen, la tigre tatuata sulla schiena, si muove aggredendo tutto il mondo che la separa da Giada: la nuova compagna del marito, l'assistente sociale e, felino sinuoso, sa anche sedurre. Accanto a Carmen, la bravissima Elena Gigliotti, pian piano conosciamo il compagno che ha verniciato di bianco i disegni, i ricordi, per andare avanti, la sorella che l'abbraccia avvolgendo una parte di sé non vissuta, l'assistente sociale che ė una madre adottiva. Tutti hanno dolorose parti mancanti. Qui l'eco della frattura tra il mondo umano sociale e la dimensione istintiva. Il desiderio, la paura, la minaccia, restano, incompatibili, forse finché non si vedono. Ritorna la favola iniziale. I fiocchi di neve cadono sugli alberi, sul mare, sotto un cielo azzurro, leggeri possono alludere ad altre possibilità.