GIA’ ALLORA, nel 1978, tra il 16 marzo, giorno del rapimento di Aldo Moro e dell’ineccepibile mattanza militare, e il 9 maggio, quando il corpo dello statista democristiano, malvisto in America, come in Russia, poco simpatico agli Israeliani e ai Palestinesi, fu ritrovato, cadavere, nella bauliera della Renault 5 rossa in pieno centro storico a Roma, in molti, nella sinistra extraparlamentare, quella non corrotta dai servizi segreti, adombrarono il dubbio che dietro quell’azione – e in tutte quelle che seguirono - non ci fossero i rivoluzionari, ma i loro nemici. Oggi, a quarant’anni di distanza, con molti mafiosi ormai morti (di vecchiaia) e i vari ex brigatisti beatificati, perdonati e premiati con inviti a feste e tavole rotonde, con tanto di interviste nei resort intellettuali a discernere di memoria e controinformazione e un panorama internazionale letteralmente stravolto e irriconoscibile, quello che sospettavano i compagni di Autonomia Operaia di via dei Volsci non uccisi dall’eroina e non assunti in banca, inizia a serpeggiare anche tra gli amici di Moro, anche nei telegiornali di Stato. Raccontateci tutto, dài; fatelo per quei pochi che ci credevano, alla rivoluzione, e han perso, deponendo le armi e senza cambiare la giubba. È tardi, è vero, ma quelli che non si sono svenduti allora, lo hanno continuato a fare, preoccupandosi, soprattutto, di insegnarlo ai propri figli e certi sogni, quando si avverano, valgono una vita, anzi, una generazione.

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