DI FILOSOFIA, ne sa più mia figlia, che fa la terzo liceo, di lei; torni la prossima volta. Me lo disse, raddoppiando tutte le consonante semplici, come fanno tutti i sardi, anche quelli colti, come lo era lui, con tutto il garbo possibile e immaginabile e nonostante fossi l’unico, tra gli studenti del corso di Storia delle dottrine politiche dell’anno accademico 1983-84, che al termine delle sue lezioni, per nulla sazio del suo incommensurabile sapere e letteralmente stregato dal fascino con il quale lo metteva a disposizione, continuassi a cibarmi della sua smisurata conoscenza obbligandolo a prendere un caffè in mia compagnia al bar posto nel seminterrato di via Laura, a Firenze, non mi fece il minimo sconto. Il mio esame, il mio primo esame di Scienze Politiche, fu un vero e proprio disastro, che culminò con quando farneticai che l’uomo, per Hegel, fosse il centro propulsore e indispensabile della vita. Ad Antonio Zanfarino, al professore Antonio Zanfarino, udita l'ingiustificabile castroneria, venne probabilmente l’orticaria; strinse gli occhi, come faceva quando al suono della campanella che segnava la fine delle sue lezioni la maggioranza degli studenti abbandonava cialtronescamente l’aula, e mi invitò, come scritto all’inizio, a presentarmi ad un’altra sessione. Non aggiungo altro; a piangere la sua morte naturale (era nato a Sassari, nel 1931), avvenuta in questi giorni, ci sono state e ci saranno penne molto più prestigiose della mia e parecchie autorità storiche, filosofiche e politiche. Premeva a me, ricordarlo. E ringraziarlo.

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