di Raffaele Ferro
NEL DIVERTENTISSIMO mini romanzo Arte, di Yasmina Reza (autrice de Il Dio del Massacro, tradotto nel bellissimo film di Roman Polanski, Carnage) tre amici di medio alta borghesia amanti di arte si trovano a discutere, e poi a litigare, sulla questione legata all'acquisto da parte di uno di loro di un quadro totalmente bianco. Ovviamente il prezzo molto alto pagato per questa opera d’arte fa da motore a tutta la questione, all'ironia e, d’altra parte, alla perdita delle inibizioni e al rilascio quasi brutale e comicamente caustico di emozioni represse e, infine, alla rivelazione catartica che l’arte contemporanea, se non è un gioco per gente immatura, è un vero e proprio bluff. Retro front di chi scrive a parte, ossia la riflessione che quello che chiamiamo bluff meglio si descrive in Jean Baudrillard come Il Complotto dell’Arte, prendiamo le mosse per dire la nostra sulla decisione di discutere su una frase estratta dall'articolo comparso su una rivista on line pistoiese lo scorso 19 dicembre: Trasferire il patrimonio di Marino Marini a Firenze, significa decretare la morte di un’attività culturale cittadina diventata evanescente, più proiettata a promuovere gli eventi che a valorizzare gli istituti culturali pistoiesi attorno ai quali costruire un progetto.
Con Marino Marini che va a Firenze e Giovanni Michelucci sempre più dimenticato, all'orizzonte ci sono solo le luci di temporali. Magari fossero temporali, magari fossero le luci dei temporali; verrebbe in mente, anzi balenerebbe nell'iride di chi lo conosce, qualche lampo di Wiliam Turner che legato all’albero maestro durante il mare in tempesta, si inebria e si carica appunto di immagini per poi operare trasferendo magistralmente la stessa marea, lo stesso temporale, sulla tela. Qui niente temporali, niente lampi che preludono al temporale. Qui a Pistoia solo il bianco del niente. Anni fa, una grande personalità pistoiese, una donna coltissima e impiegata da molti anni presso la Soprintendenza alle Belle Arti a Firenze, mi parlò di Pistoia come la città delle occasioni perse. Ci trovammo in un bar della città in un’atmosfera a me tanto cara, e in effetti luogo giusto per parlare con un'eminenza dell’arte come la Dottoressa in questione. Due ore di discussione sull'argomento che si condensava in definitiva appunto nella frase la città delle occasioni perse. Ero intenzionato a produrre una trasmissione intera su Andrea Lippi. Andrea Lippi: Chi era costui? Il grandissimo storico dell’arte Alessandro Parronchi, maestro e collaboratore della suddetta dottoressa – sulla Treccani si trova in breve la descrizione del suo immenso lavoro nella critica e nello studio dell’Arte - aveva grande conoscenza dell’importanza del pistoiese Andrea Lippi, figlio d’arte della fonderia Lippi. Pistoia nei secoli è stata quasi una capitale dell’arte della fonderia. Fino alla fine degli anni ’60 circa, oltre cinquanta fonderie erano attive e operative in Pistoia e provincia. Tutto finito, tutto svenduto, tutto lasciato marcire per poi scomparire, come nel caso della Fonderia Michelucci, rasa al suolo e sulle cui macerie è stata costruita una bella palestra. Come anche nel caso della Fonderia Lippi stessa, che per una giravolta di interessi e incompetenza la si può visitare sotto forma di parcheggio a pagamento in via della Vigna, di fianco al Teatro Manzoni. Comunque: Andrea Lippi è In-visibile, se non nella riproduzione in bronzo di una sua opera nascosta quasi, a fianco delle Poste centrali, fra San Leone e il palazzo della Provincia. Già al tempo della pseudo intervista di cui sopra (2010) questa ricollocazione dei gessi era spina nel fianco della suddetta dottoressa e, come detto, di visibilità, di fruizione da parte del popolo. Andrea Lippi e la sua magistrale sensibilità, la sua misteriosa gentilezza con cui svelava e rivelava argomenti e concetti (derubricati poi semplicemente con la parola simbolismo) allora indesiderati, cose da matti, cose da artisti minori o mancati. Mancati a certa critica, appunto legata al mercato dell'arte e alle correnti più o meno in voga. Il discorso sarebbe lungo e certo è che sia Marino Marini che altri ben conoscevano la sintesi e la sublime poesia delle forme di Lippi, a nostro avviso, ispiranti e segnanti epoche a venire. Ma tornando alla invisibilità del Lippi e al suo mancato museo: a chi interessa visitare qualcosa che nemmeno si conosce? Andatevi a cercare chi è l’immenso Andrea Lippi, segregato perché persona particolarmente sensibile, scrittore disegnatore e scultore (solo le Edizioni Via del Vento ne hanno stampato i disegni, e degli scritti, importantissimi per chi davvero si intende di letteratura e poesia) a cui è capitata una sorte di salute cagionevole, collocato, come detto, in un periodo storico particolare in cui visionari come lui, inafferrabili secondo schemi , scuole o correnti (i neonati schemi critici e analitici dell'arte) se non facevano la fine di un Dino Campana, poco ci mancava. Durante la chiacchierata, la dottoressa parlò della proposta fatta negli anni di sistemare un vero e proprio museo dedicato al Lippi all'interno dell'antico palazzo Vescovile, o almeno una mostra al palazzo Fabroni. Nulla, come molto altro, purtroppo. Eccoci all'oggi. Oggi, invece, un'operazione ad arte succede. Quella delle proteste di un Comune che piange la perdita di un museo - in realtà una Fondazione, che per tanti anni ha reso possibile visitare gessi e disegni di Marino Marini, adattata anche a luogo per scolaresche con visite guidate e laboratori per bambini. L'opera d'arte consiste nella doppia mossa di prestigio, e totalmente populista, di protestare per una decisione presa dal Comune stesso, e forse addirittura dalla Fondazione stessa, e di organizzare una manifestazione natalizia al sapore di protesta culturale, insieme alla gente, a personalità dell'arte pistoiese (?), all'associazione degli architetti e forse qualche turista. Marino Marini mancherà? Magari sarà questa l'occasione per farlo conoscere davvero, farlo studiare e ammirare. Chissà se, come per tradizione ormai consolidata, i suoi gessi saranno usati (contro ogni legge ed etica) per bronzi adatti al sempre più fiorente mercato nero dell'arte che ogni anno produce innumerevoli pezzi che poi piazza in aste e compravendite, più o meno note, più o meno trasparenti. Su questa ultima, fiabesca, riflessione, invitiamo a vedere il film F come Falso (F for Fake) del grande Orson Welles, per farsi o un idea, o magari una risata, su argomenti qui fin ora trattati: Arte, Bluff, Mercato, Falsari, Musei…