SI PROSPETTANO tempi lunghi e soprattutto incerti, specie se, come si vocifera in più di un corridoio politicamente scorrettissimo, chi ha innescato questo virus regale non si decida a tirar fuori, quanto prima, anche il vaccino. Ma non è di questa guerra batteriologica che vogliamo parlarvi, anche perché non saremmo affatto attendibili, viste le farneticanti premesse. Ma come disse Aldo Moro, in una delle sue tante profezie purtroppo avveratesi: bisogna vivere il tempo che ci è stato dato, con tutte le sue difficoltà. Con cinema e teatri chiusi fino al 3 aprile (a patto che la situazione vada normalizzandosi, altrimenti…) e, a cascata, la serrata più o meno indotta di ogni altro luogo di aggregamento umano inferiore ai famosi cento centimetri di distanza di sicurezza (pensate ai ristoranti e ai camerieri che, nelle vicinanze del cliente, onde evitare contagi, lanciano le pietanze ordinate), la gente, piano piano, anzi, veloce veloce, si rintanerà nelle proprie abitazioni, che trasuderanno, preventivamente, di ogni genere alimentare e lì aspetterà il cessate il fuoco della paura.
E visto e considerato che, in virtù di questa improvvisa austerity, le spese destinate ai divertimenti crolleranno vertiginosamente, nelle famiglie italiane inizieranno a circolare un po’ più di soldi, che saranno investiti, temiamo, in abbonamenti di ogni genere e grado alle televisioni a pagamento, assicurandosi così, senza dover andare negli ormai pandemici bar sottocasa, la visione di tutte le partite di calcio di ogni ordine e grado, compreso automobilismo e motociclismo. La Rai, di tutto questo virtuale cataclisma, potrebbe seriamente approfittarne, (ri)affidando la programmazione a chi merita e allietando i suoi canonizzati, che sono clienti coatti, con una programmazione degna di (ri)unire, dopo cena, come è successo per molti anni e tanti anni fa, le famiglie italiane in salotto. Certo, De Filippo, Sordi, Gassman, Tognazzi, Chiari, Villaggio, Vianello e altri principi dell’intrattenimento non ci sono più. MammaRai però, nell’augurio che non abbia gettato nella spazzatura le pizze di quei programmi, potrebbe (ri)mandarli in onda: i più giovani capirebbero cosa voglia dire fare umorismo e i comici contemporanei imparerebbero a farlo. E il venerdì, come succedeva solo sul secondo canale quando la tivvù era in bianco e nero, le tre reti Rai potrebbero, contemporaneamente, mandare in onda altrettanti spettacoli teatrali, cercando di contentare, con proposte difformi l’una dall’altra, i gusti di una sessantina di milioni di persone, offerta che potrebbe riavvicinare la gente ai botteghini, che si diradano a vista d’occhio, anche senza questo nuovo terrore pandemico e, contemporaneamente, impartire qualche semplice lezioncina a uno stuolo di presuntuosi che calcano le scene. Poi, terminato l’incubo, finalmente riusciremo dalle nostre abitazioni; si (ri)intesseranno i rapporti sociali e torneremo a popolare ristoranti, stadi e discoteche, con la novità, davvero rivoluzionaria, che restare in casa, una sera, non sarà più un’insopportabile costrizione. Ah, dimenticavamo. Ci farebbe piacere che lo stesso terrore che sta compattando gli italiani nella morsa della paura con questo morbo, ci facesse sentire Popolo anche al cospetto delle migliaia di decessi, tutti gli anni, causati, oltre che da influenze meno spettrali, dal cancro, dalle leucemia, dalla sla, dalla cirrosi epatica, che non sono trasmissibili via aerea, vero, ma che rappresentano una copiosa percentuale cimiteriale e che ci dovrebbero comunque imporre una riflessione; sulla vita e sulla paura di morire. E farci stare a casa, qualche sera, a parlare. Per conoscerci un po' di più. Per conoscerci veramente.