È UN AFFARE serio, questo nuovo virus, clandestino ma regale, che richiede calma, soprattutto, ma principalmente, professionalità e organizzazione, elementi, questi ultimi, che sono strettamente correlati tra loro: il primo, include il secondo, ma senza il secondo, il primo non serve praticamente a nulla. Iniziano a scarseggiare i tamponi, quelli che stabiliscono, non subito, ma a distanza di dodici ore (devono essere refertati da Roma; facciamoli refertare nei capoluoghi di regione, allora) se il paziente ha contratto il famigerato Covid 19. Bene, reperiamone immediatamente dei nuovi. Se dovessero scarseggiare, costruiamoli. Costano troppo? Facciamo la conta del superfluo: i soldati in missione di pace sparsi per il Mondo, ad esempio e tutte le alchimie strategiche onde evitare un attacco alieno (gli F35 sono la prima cosa che ci viene in mente, soprattutto pensando a Einstein, quando sentenziò di non sapere chi avrebbe vinto la terza guerra mondiale, ma di essere sicuro che la quarta la si sarebbe combattuta con le fionde).

La guerra è qui, in casa nostra, non occorre cercare di ripristinare la pace laddove, la guerra, è sempre stato un affare; i paracadutisti di stanza in Iraq, ma anche altrove, eh, è la stessa cosa, se rimanessero nelle rispettive caserme in attesa di eventi logistici straordinari, probabilmente non farebbero nulla di importante, ma costerebbero meno alla comunità, che potrebbe destinare le loro diarie in tamponi, per l’appunto. Ma la lista degli esuberi morali, civili, deontologici, quelli che vanno ben oltre il nostro ostinato pacifismo e la garanzia di una onorata e decorosa sopravvivenza, è lunga, molto lunga; inutile farne una graduatoria, anche perché rischieremmo di dimenticarci qualcosa di importante e non vogliamo privilegiare nessuna categoria. Negli ospedali vige il caos: si inizierà, nel giro di breve, a stabilire, in relazione alle età e alle chimiche aspettative di vita, a chi dare la precedenza per le cure più urgenti. Della serie: al cospetto di due pazienti in condizioni critiche, il ventenne verrà sottoposto ai vitali trattamenti prima del settantenne. E in linea di principio, non fa una piega. Ma è determinante, senza scomodare Napoleone e il suo editto di Saint Cloud, chi siano l’uno e l’altro, perché non è affatto scontato che un ventenne abbia maggiori diritti di sopravvivenza di un settantenne. Anzi, osservando le immagini divulgate dai telegiornali e dalle piattaforme sociali, con ventenni/cinquantenni che vandalizzano ospedali, uccidono per amore le loro compagne, evadono spudoratamente il fisco o, in questa concitata fase catartica, si ritrovano stretti stretti in coda sulle piste da sci e si accalcano sulle passeggiate lungomare e nelle piazze per la movida, si direbbe esattamente il contrario. Infine, ma non certo ultima, l’economia. Tutti quelli che lavorano al commercio, che lavorano interagendo con il prossimo (inutile fare la lista, ve lo potete immaginare), presto saranno in ginocchio: ristoratori, albergatori, operatori turistici e, a pioggia, tutti quelli che sono alle loro dipendenze. Non ci siamo dimenticati i musicisti e gli attori, no; quelli li abbiamo lasciati per ultimi. Ma non i Rem o le Jennifer Lopez, i Rolling Stones o i Brad Pitt; stiamo pensando ai musicisti dei pub e agli attori di teatro, quelli che sopravvivono, con grandi difficoltà, anche in periodo di vacche obese, più che grasse. Fino a quando vige questo stato di schizofrenica pandemia, diamo loro un reddito di cittadinanza artistica. Perché una volta superata questa crisi, vogliamo (ri)uscire, la sera, per andare a sentire concerti e vedere spettacoli come abbiamo fatto, puntualmente, fino a pochi giorni fa e senza un sussidio, musicisti e attori dovranno dimenticare spartiti e copioni e trovare altro, per sopravvivere. E questo, oltre che uccidere l’arte e i suoi protagonisti, ci renderebbe parecchio tristi e piano piano, svilirebbe la gioia di vivere. Almeno la nostra.

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