di Lorenzo Gattoni
MILANO. Qualcuno si chiedeva dove fosse Wuhan e che cosa fosse l’Hubei, come se ancora potesse esistere al mondo una qualche regione remota e sconosciuta. La globalizzazione – lo abbiamo imparato in questi anni – ha ridotto le distanze; adesso abbiamo imparato che ha ridotto anche i tempi: Wuhan si trova in Lombardia, vicino a Milano, è qui il luogo di irradiazione di un contagio che si è via via esteso a tutta l’Europa, e da qui al mondo intero. Dapprima abbiamo reagito con un senso di incredulità: un virus nocivo e sconosciuto e altamente contagioso? Un senso di irrealtà comunque sufficiente a farci correre ai supermercati per fare incetta di pasta, carta igienica, scatolame e acqua, riflesso, evidente, di una condizione ereditata dalla guerra. Poi vengono chiuse le scuole, il contagio si estende da Codogno a Piacenza e in Emilia, a Bergamo, a Brescia, al Veneto, ci sono persone che muoiono, e allora subentra l’incertezza, ci si chiede se è tutto vero oppure se si tratta di esagerazioni, poi ci dicono che dobbiamo stare a casa e, comunque riluttanti, arriva l’ansia, la paura. Anche perché i morti aumentano, e i contagiati pure. Direi che tre sono state le fasi che a Milano si sono attraversate in questo mese: inizialmente un senso di incredulità e surrealtà, la città semideserta è uno spettacolo raro, poi è subentrata l’incertezza legata alla percezione, per quanto indeterminata, di una preoccupazione reale, per arrivare infine a un senso di paura vera e di ansia e allarme.
A queste fasi sono corrisposte tre reazione prevalenti, in misure differenti: da un lato i soliti menefreghismo ed egoismo tipicamente italiani come se niente fosse, da un altro una tiepida osservazione delle limitazioni giusto per vedere cosa succede (come quelli che non credono all’oroscopo ma intanto lo leggono) e dall’altro ancora un immobilizzante timore. Cosa succederà? Non lo sappiamo: pensando al futuro magari ci sarà un nuovo baby boom, o magari un aumento dei divorzi per le coppie obbligate alla convivenza forzata, oppure al contrario – considerato l’alto numero di single milanesi, che dopo avere passato lunghi mesi di solitudine forzata penseranno bene a una alternativa – un aumento dei matrimoni. Ma tutto è accaduto molto in fretta, perché adesso ci troviamo tutti in casa, usciamo per andare a fare la spesa, ma ci sono anche quelli (che lo facciano per mettere in difficoltà il governo?) che se ne fregano e continuano a correre o ad andare in giro. Siamo passati dalle apericene alle code davanti ai supermercati. Un bel salto! All’inizio di questa insolita clausura si era quasi divertiti dalla novità: e allora tutti sui balconi a cantare canzoni dei bei tempi andati, allegri e festosi, o ad applaudire l’un l’altro facendo foto e filmini. Ma anche di questo ci si è già stufati. E non è bastato a esorcizzare la paura, che di giorno in giorno è aumentata: d’altronde Milano è una città abituata a correre, ad andare di fretta, a produrre, è la capitale economica del paese. Eppure, oggi non possiamo andare oltre i confini dei nostri appartamenti, e certo il numero dei metri quadri a disposizione è una variabile non secondaria per il trascorrere dei giorni. Si guarda fuori dalla finestra, ci si sporge dal balcone per contare le macchine che passano, oppure ci si piazza con la sedia sul ballatoio e, con stupore, ci si accorge che esistono dei vicini di casa. Qualcuno parla, a debita distanza, qualcuno legge, altri smanettano con lo smartphone, arrivano sino a me frammenti di discorso, parole, esclamazioni, qualcosa ascolto, questa notte ho dormito male e ho un po’ di sonno, c’è una luce piena e calda, mi metto ad ascoltare, mi incuriosisco, mi faccio attento… qualcuno nomina Dio, sì Dio. Questo virus è una punizione divina, dice… eravamo invincibili, tutti chini sui nostri dispositivi elettronici, presi da una sorta di delirio di onnipotenza, avremmo guidato macchine senza guidatori, saremmo vissuti fino a 120 anni e perché no pure fino a 130, avremmo realizzato una colonia umana su Marte, incrociando intelligenza artificiale e machine learning grazie al cloud computing per la gestione dei big data avremmo avuto a nostra disposizione una gamma infinita di strumenti e applicazioni che avrebbero lavorato per noi e risolto ogni nostra esigenza e risposto a ogni nostro desiderio. Oggi invece ci accorgiamo che esiste la realtà, che qualcosa – lo si voglia o meno, ci piaccia o non ci piaccia – accade. E che ogni nostra azione è gravida di conseguenze, che ogni nostra azione provoca una reazione. Anche una banale passeggiata rischia di essere nociva per qualcuno e per noi stessi. Lo avevamo mai pensato? Sicuramente no! Abbiamo creduto di sostituirci a Dio, e Lui ci sta punendo. Ora la voce è un’altra, femminile, ha un accento straniero. L’uomo che si credeva Dio viene così ridimensionato, anzi viene restituito alla natura: l’essere umano non è al di sopra della natura, per quanto intelligente ed evoluta la specie umana è una specie tra le altre che abitano questo pianeta, ubriacati dalla tecnologia, ci siamo dimenticati di questo: della nostra condizione umana e fallace. Ho sentito parlare di specismo, quelli che intendono la specie umana universalmente vittoriosa nella lotta sulle altre specie e sulla natura, e di antispecismo, coloro che invece, più modestamente, ricordano che l’uomo è solo un elemento della natura e nemmeno il più importante. Basta guardare le piante e gli animali, la loro placida indifferenza allo sconvolgimento del nostro quotidiano. Non è questo il messaggio del virus? Sono completamente sveglio, non avrei mai immaginato che nei cortili dove affacciano i ballatoi di queste case la forzata clausura casalinga desse l’avvio a discorsi decisamente intriganti. Adesso è il momento di un signore che sta in piedi appoggiato alla ringhiera, sembra quasi che declami È la sconfitta dei nazional-sovranismi, è la fine della globalizzazione, è la fine del neoliberismo, la razza umana è una sola, eh, sì, volevano costruire muri, barriere, volevano chiudere i porti, blindare le frontiere, prima questo e prima quello, che poi vuol dire prima io, e invece il virus se ne frega dei tuoi confini, se sei bianco o giallo, questa situazione triste e assurda ci dice che non esistono confini, che siamo tutti sulla stessa barca, che le persone muoiono in Cina e muoiono in Italia, che siamo tutti uguali, che ci sono differenze tra i popoli ma non diversità, ci dice che solo grazie alla cooperazione, alla collaborazione e alla solidarietà di tutti possiamo affrontare e sconfiggere il virus e non solo. Da una finestra flebile arriva un suono, che poi nel silenzio improvviso del cortile si fa netto; di musica classica non capisco molto ma quella del Requiem la riconosco al volo, per un momento penso che chi la sta suonando a suo modo voglia dirci la sua appunto con le note e non con le parole. Dopo qualche minuto di estasi è ancora una donna a parlare, dal secondo piano, lì a sinistra, la sento dire, anzi protestare sì, sì, parlate di massimi sistemi, ma intanto non vi chiedete perché in tanti nel mondo e a migliaia in Italia muoiono di questo virus? Ci accorgiamo con dolore di quanto accade oggi, ma dobbiamo prendere atto di quello che è accaduto: oggi lo sanno tutti, abbiamo scoperto che nel passato i governi di destra e non solo quelli non hanno avuto a cuore il benessere e la salute dei cittadini, hanno tagliato ingenti risorse, si dice 40 miliardi di euro, al sistema sanitario che oggi – di fronte a questa emergenza sanitaria – è in crisi, abbiamo scoperto che la logica dell’efficienza aziendale applicata alla sanità pubblica ha voluto dire chiudere ospedali, chiudere interi reparti, accorpare strutture, diminuire il numero degli operatore sanitari, dei medici, degli infermieri. Volete dei numeri? Cancellati 70.000 posti letto, chiuse quasi 200 strutture ospedaliere. È anche per questo motivo che oggi siamo ridotti così, che non ci sono terapie intensive, personale... Non basta? No, non basta, perché abbiamo anche scoperto che il settore pubblico negli anni scorsi è stato bistrattato, maltrattato, offeso, denigrato, mentre oggi scopriamo nel ruolo del lavoro pubblico un esempio encomiabile di dedizione professionale e di cura dell’altro e della collettività, uno straordinario legante della società; i medici e tutti gli operatori sanitari, i volontari, i farmacisti e tutti coloro che lavorano negli ospedali e nelle strutture sanitarie avrebbero bisogno di risorse, di strumenti, di mezzi, di strutture, di personale altro che applausi dai balconi. Non mi ero accorto che proprio in cortile ci fosse anche il signor Gianni, il portinaio, una persona solitamente mite, sempre cortese, persino timida, eppure lo sento dire Siete delle anime belle! Svegliatevi! È evidente che si tratta di una cosa voluta, gli americani hanno diffuso il virus in Cina per colpire la loro economia che sta andando a gonfie vele, per fermare la loro espansione economica e culturale! E con che foga prosegue: E visto che ci sono, dal momento che il virus viaggia dovunque, è stato inaugurato un gigantesco esperimento di controllo sociale a distanza! Al potere basta spargere a piene mani terrore e paura e tutti si fanno ubbidienti, si mettono addirittura volontariamente agli arresti domiciliari! Non è difficile capire quello che sta succedendo. E i giovani? Cosa fanno i giovani? mi giro verso destra, già, nemmeno in questa situazione poteva mancare l’anziano – quello che abita al piano terreno – che se la prende con i giovani, obiettivo facile: lo sapete voi cosa fanno? Tutti tutto il giorno attaccati al cellulare! Ma allora adesso che stanno chiusi in casa non è la condizione ideale per loro per fare quello che di solito fanno?! – il tono è quello della reprimenda – E invece no, adesso si lamentano, i signorini, adesso vogliono uscire, vedere gli amici, prendere l’aperitivo, ma allora scusate questo vuol dire che i rapporti reali, e non quelli virtuali, sono importanti, no? Allora vuol dire che anche i giovani si stanno accorgendo di quanto forti e necessari siano i legami degli uni con gli altri, di quanto gli altri siano vicini a noi stessi, di quanto tutti siamo legati gli uni agli altri anche laddove non li vogliamo?! L’argomento è persino insidioso e sono sempre più stupito, stordito di scoprire questo senso di umanità, di scoprirlo così vicino, immediato. E poi, appena torna il silenzio, ecco la musica del Requiem dilatarsi, espandersi per altri minuti. Tra poco rientro in casa, è quasi l’ora del quotidiano bollettino di guerra della Protezione Civile, e chissà che finalmente non siamo vicini al picco. Beh, siamo italiani, no? siamo tutti – come si dice – allenatori della Nazionale e adesso siamo tutti medici, virologi, epidemiologi, possiamo discettare senza fallo di picco, di paziente zero e paziente uno, indicatore R0, modello SIR. Mi chiedo, però, abitando a Milano, se qualcuno stia cercando di capire se c’è una relazione tra la diffusione di questo virus e l’inquinamento, essendo la pianura padana la zona più inquinata d’Europa. E adesso, pare una beffa, essendo il traffico più che dimezzato pure la qualità dell’aria è migliorata, ma non possiamo uscire di casa. Mentre sto per alzarmi un’altra voce si alza, questa la riconosco è la voce di un ragazzo, ne sono sicuro, e infatti Ancora con questa storia dei giovani? Da quando è diventato una colpa essere giovani? Piuttosto a voi che giovani non siete più non vi viene il dubbio? Non vi fate delle domande? – d’accordo essere giovani, ma questo fa solo domande, spero abbia anche qualcosa da dire – O da soli proprio non ci arrivate? Allora ve lo dico io! – ah, finalmente, penso – Questo virus è contro di voi! Quelli che muoiono sono per lo più vecchi, magari già con altre malattie, in questo modo si realizza un bel risparmio per le casse previdenziali dello stato! E magari siamo solo all’inizio! Magari, vista la situazione negli ospedali, poteva risparmiarsi la minaccia finale, ma l’argomento ha fatto presa perché subito qualcuno gli risponde dal balcone di fronte: Ben detto, ragazzo! È ora di realizzare un piano straordinario di investimenti pubblici, ovviamente a cominciare dalla sanità, dobbiamo nazionalizzare alcune industrie, dobbiamo riconvertire alcune produzioni per soddisfare i bisogni delle persone e non il profitto (ad esempio oggi dovremmo produrre mascherine e apparecchi respiratori ed è lo stato che deve produrli), dobbiamo rinnovare e rilanciare il ruolo dello stato nell’economia, la sospensione del patto di stabilità a livello europeo è un primo passo in questo senso.mi torna in mente una parola antica, di cui non si sente più parlare da tempo, ma che oggi è tornata attualissima: socialismo. Adesso ho capito tutto: in questi giorni sui giornali, in televisione, ho ascoltato qualcuno dire che superata l’emergenza e sconfitto il virus, niente sarà più come prima; tante cose dovranno cambiare; dovremo cambiare tutto; saremo diversi, saremo migliori; ho letto di salto d’epoca, cambio di paradigma, nuovo modello di sviluppo: è di questo, quindi, che stiamo parlando, della necessità di superare un sistema che sta portando il mondo e l’umanità che lo abita verso la catastrofe. Non è questo ciò che abbiamo sotto gli occhi oggi, ciò che questo virus ci mostra in maniera inequivocabile? Sì, voglio dire la mia, aggiungere la mia voce a quelle che ho ascoltato, al vicino di sotto e alla vicina di sopra, mi alzo dalla sedia, faccio per parlare, non riesco, apro la bocca, mi sforzo. Apro gli occhi, all’improvviso mi sveglio, ora sì, mi guardo attorno, guardo giù e non vedo nessuno. Certo la paura, certo l’angoscia. Ed ecco che nel silenzio delle nostre strade qualcosa di nuovo, di insolito, di imprevisto accade: dinanzi alla natura, che oggi assume le forme di un granello invisibile e domani chissà, scopriamo di essere soli con la nostra umanissima fragilità, la nostra incertezza, la nostra limitatezza naturale.