di Simone Perinelli

CALCATA (VT). Mi sono ritrovato in strada con mascherina e guanti durante i primi giorni di pandemia e l'impressione forte che ho avuto è stata quella di trovarmi catapultato in un romanzo di Philip Dick. Nonostante io abbia alle spalle anni e anni di letture di fantascienza a sfondo apocalittico e post atomico, non avrei mai immaginato di potermi ritrovare a destreggiarmi in un mondo attaccato da un virus. Le prime cose che ho fatto, appena iniziate le prime restrizioni, sono state fare la spesa, riorganizzare le giornate a venire e ordinare online libri e una cassa di vino rosso. Man mano prendevo coscienza dell'entità della faccenda e dopo un po' è arrivato il che ne sarà di noi, del teatro. Ma non ce l'ho fatta a preoccuparmi troppo per questo aspetto. I teatri chiuderanno per un bel pezzo, bene! Avevo proprio bisogno di uno stop. Arrampicato su un sistema teatrale troppo fragile, traballante, mal ristrutturato, mi sono detto - che cada pure e dalle ceneri possa nascere qualcosa di meglio -  Ecco, questa pandemia ci sta offrendo l'occasione di riflettere su come possiamo fare meglio quello che facevamo prima. Di rilanciare, approfittare del lock down per staccarci dai ritmi produttivi e di distribuzione che siamo costretti a tenere per mantenerci in vita, e magari fare una riflessione sugli aspetti artistici e riportarli in primo piano.

Cosa ho fatto finora nei miei spettacoli? Cosa voglio fare in futuro? Quali sono quegli aspetti del mio lavoro che mi creano disagio e che in questi giorni di pandemia non mi mancheranno? Sono rimasto basito dal fatto che sui social network, già dai primi giorni di clausura, iniziava a comparire questa nuova tendenza del teatro in video. L'ho trovata sin da subito una grande forma di egoismo e di cecità e questo mentre dal mondo arrivavano immagini di grande Teatro come le bare accatastate a Bergamo e il Papa da solo a piazza san Pietro sotto la pioggia. La proposta teatro in video in quei giorni mi è sembrata simile a quella metafora del saggio che indica il cielo e lo stolto che guarda la mano. Mi dispiace per gli artisti che non hanno fatto tesoro del silenzio delle città semi deserte, del tempo del pensiero fuori dalle scadenze. Sono stato sollecitato da più parti dai miei collaboratori a rivedere il Teatro per una prospettiva digitale e video; ci ho pensato a lungo arrivando alla conclusione che non può esserci Teatro senza la compresenza di quei due futili elementi che sono la performance dell'attore dal vivo e di un pubblico che guarda. Dirò di più: il Teatro non avviene sul palco, ma accade solo nello spazio geografico tra l'attore e il pubblico. Impossibile rivedere questa antica formula. Il Teatro è rito, non si può fare a distanza, è partecipativo, figuriamoci attraverso uno schermo. Detto ciò, non condanno niente e nessuno, tutto si può fare sapendo però che è un palliativo, un surrogato che non può sostituire affatto questa antica pratica, semplicemente una nuova forma di intrattenimento per i social network che spesso sfocia nello sketchetto davanti allo smartphone. Meglio un bel film: David Cronenberg, Terry Guillam, Paolo Sorrentino. Il cinema per fortuna resta ancora un mezzo per arricchire occhi e anima. Usciremo da questa pandemia un po' a pezzi ma ricaricati nell'animo? Come sarà il Teatro dopo il virus? Intanto i pesci piccoli (chi non ha diritto al contributo mensile stanziato dal governo) saranno spariti. I medi continueranno a combattere con le unghie per diventare pesci grandi, i grandi sanno già da oggi dove e quando circuiteranno.  Eppure ci sarebbe bisogno di una grande riforma generale, che il MIBACT riveda i criteri di assegnazione e di valutazione del FUS, che qualcuno lassù si occupi della materia Teatro, conoscendola, con consapevolezza e coscienza. Questo è quanto mi auguro per il dopo-virus e intanto no, non guarderò teatro in video; mi lascerò questa occasione quando riapriranno i teatri. Quando non andrò nel teatro più vicino a casa mia dove programmano lo Shakespeare con il guitto televisivo di turno, quando guardando le programmazioni piene di spettacoli frutto di scambi o progetti strampalati che devono essere programmati, me ne starò a casa, aprirò una birra fredda e con i piedi sul divano mi riguarderò La Classe Morta di Tadeusz Kantor. Andrà meglio, se andrà diversamente da prima del virus.

 

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