COME SE da un anno non facessi l’amore. A me, i teatri chiusi, fanno esattamente lo stesso effetto e oggi, 22 febbraio, è giusto un anno che questo virus ha chiuso i sipari e… occluso le vie spermatiche. Non ho alcuna intenzione, né tanto meno voglia, di impiantare una querelle sulle colpe di chi dovrebbe traghettarci al di là della linea invisibile, ma tragica, del Covid 19, né mi preme perorare la causa di tutti quelli che con questo imprevedibile disastro stanno davvero rischiando la miseria e dunque la perdita della dignità, né disquisire su come mai, le chiese, siano rimaste aperte. Approfitto della decisione di tutti i teatri di illuminarsi, oggi, a lutto, per questo nefasto compleanno e sfilo, in silenzio e in lacrime, in questo mesto corteo funebre, al fianco di tutti quelli che di teatro ci vivono, pagando mutui e affitti, facendo la spesa, pagando bollette, comprando strumenti musicali per i propri figli, che come i loro genitori, vorrebbero vivere di arte. RIAPRITELI, per carità. Date la possibilità, a noi sistematici fruitori, di tornare ad accomodarci nelle platee di tutti i Teatri, quelli grandi e belli, con poltrone comode e accoglienti e quelli piccoli e brutti, dove si è costretti a seguire gli sforzi titanici dei protagonisti seduti su perigliose seggioline di legno. Voglio vedere ancora abbassarsi le luci, raccomandare a qualche stolto di spegnere il telefonino e immergermi, anima, corpo e sesso, tra i flutti del racconto che sta per cominciare e che mi porterà, a fine rappresentazione, da un’altra parte, un posto che fino all’inizio dello spettacolo ignoravo esistesse.

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