LO CONOBBI un pomeriggio, ad Agliana. C’era un sacco di gente, perché tutti insieme, da piazza Antonio Gramsci, arrivammo fino a piazza Risorgimento, Quarrata, due Comuni della provincia di Pistoia. Marciammo per sette chilometri, marciammo per la pace. Ero lì non certo perché fossi convinto della pace, anzi, ma perché mi aveva invitato a farlo mio cugino, Antonio Calabrò, che qualcosa, per la pace, ha fatto davvero. Tra le tante persone, quel pomeriggio, in quella circostanza, oltre a Gino Strada, c’erano anche Padre Alex Zanotelli e Gianni Minà. Non sapevo a chi dare la precedenza per cibare, al meglio, la mia famelica curiosità. Eppoi erano tutti lì per una causa ben precisa e non potevo, né volevo approfittarne. Giunti a destinazione, mi permisi, prima che si rompessero le righe (immagine che stride con la pace, ma rende l’idea), di chiedere a Gino Strada che glielo avesse fatto fare, invece che fare il Primario a Bologna, di andarsene in culo al mondo per salvare sconosciuti. Fatti e non pugnette (pippe, in uno slang meno regionalizzato), fu la risposta che mi dette, senza nemmeno guardarmi negli occhi. Il giorno dopo, andai da una tatuatrice e mi feci scarabocchiare sul polpaccio sinistro la E che simboleggia Emergency. Gianni Minà ho avuto modo di incontrarlo ancora in altre circostanze, decisamente meno impegnative; Padre Alex Zanotelli, invece, l’ho rivisto nella Basilica di Don Bosco, a Roma: fu lui a celebrare la messa funebre di mio cugino Antonio Calabrò. Gino Strada non l’ho più incontrato. Ma quando mi spoglio per andare a letto, talvolta, sfioro con le dita delle mani il mio unico tatuaggio e penso al suo coraggio, alla sua pace.