CALENZANO (FI). I treni, quelli che vanno e vengono da Firenze a Lucca, ci passano ancora dalla stazione di Calenzano. Di giorno, soprattutto. La sera, tendono a ridursi sensibilmente, fino a scomparire, nelle ore più profonde della notte. Sarà per questo che da quando le Ferrovie dello Stato hanno dismesso la vecchia biglietteria, con annessa una lillipuziana sala d’attesa, il Comune omonimo si è preso la briga di offrire quel magico anfratto a chi volesse farne un uso strano. E così, qualcuno, ha fatto, tanto che ora, il vecchio accesso ai binari si è trasformato in un meraviglioso piccolissimo locale, dove la Stazione delle Associazioni ha costruito un vero e proprio bugigattolo culturale, dove ogni tanto, qualcuno, arriva, si cambia, fingendo di farlo in distanti camerini e offre la sua felicità. Ieri infatti, in quella straordinaria stanzetta di fortuna, il paggio medievale Emiliano Buttaroni, dopo aver inforcato gli occhiali, ha iniziato a raccontare, in poesia, parte delle sue aspettative, rubando legalmente (con il consenso degli autori, da Trilussa ad Ada Merini, fino ad arrivare nelle propaggini del Divino) qualche strofa di pagine indimenticabili, ma colpevolmente dimenticate. Al suo fianco, sedute su due sgabelli, impossibilitate nelle più elementari movenze fisiologiche, la voce, notevole, di Evelin Di Biase – per nulla intimorita dal diaframma dimezzato -, accompagnata, nel canto, ma solo saltuariamente, da Stefania Bedetti, anche lei di ‘300 vestita, ma con il violino elettrico ben saldo tra la clavicola e la mandibola.

E non importa assolutamente nulla cosa fosse o cosa volesse raccontare la rappresentazione nella serata di domenica 21 novembre, lì, a ridosso dei binari, al cospetto di poco più di venti persone, magicamente attratte dall’imbonitore, quel violino incandescente e quella meravigliosa stornellatrice, per nulla a disagio, a slangare in romano e in siciliano. Non resta che aspettare, ma ci vorrà pazienza, e tanta, temiamo, che nasca davvero quell’area metropolitana Firenze/Prato/Pistoia di cui sentiamo parlare ormai da circa quarant’anni e puntualmente strombazzata dagli amministratori di turno; lo diciamo, e lo scriviamo, solo perché ci auguriamo che al posto delle singole stazioni ferroviarie, che saranno sostituite da altri avveniristici ingressi ai binari, ogni Comune si metta all’anima di dare in gestione, a chi ha ancora voglia di poesia, le vecchie e fatiscenti biglietterie, dove un gruppo di pazzi costruirà un posto dove raccontare e raccontarsi.

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