PISTOIA. Competere con i grandi colossi (anche quelli musicali) è sempre più difficile. Ignoriamo il budget del Festival Blues di Pistoia, né sappiamo quanto, per l’evento artistico più rinomato della Toscana, secondo, su scala nazionale, solo a Umbria Jazz (che domenica, con il concerto di Joe Bonamassa - a Pistoia nel 1996 -, chiuderà il sipario sulla 50esima volta), il Comune, la Regione e il Ministero della Cultura stanzino. Conosciamo però – e siamo pronti a scommetterci – l’onestà della Direzione Artistica, quella della famiglia Tafuro che dal 1985 organizza e porta in città, che si dimostra puntualmente irriconoscente, una manifestazione che offre al Comune della Giostra dell’Orso, senza l’utilizzo di pesticidi e anticrittogamici, lustro internazionale. E visto che l’andamento del gradimento del pubblico si sposta a velocità supersoniche rispetto alla magnifica lentezza di qualche decennio fa, occorre fare delle riflessioni e capire, tra costi e ricavi, tra magnificenza e dazi, se questo Festival può continuare a esistere. Non ci riferiamo alla denominazione a origine controllata dell’evento - quanto fosse ancora Blues il Festival - che ha tenuto per anni ostaggio la città con e su sterili dibattiti, ma sulla scelta musicale. Non aspettiamo Blanco, né Ultimo, né tato meno i Pinguini tattici nucleari, che sempre durante i giorni del Festival hanno fatto registrare tutto esaurito in stadi e anfiteatri a suon di decine di migliaia di biglietti venduti. Il Festival Blues, il nostro Festival, si deve per forza di cose cibare di altro, senza però abbassare così tanto l’asticella e dover essere costretto a chiudere le tribune e invitare il pubblico a sedersi sulle seggioline blu disposte sulla piazza. I pezzi storici del Blues (che a Pistoia, dal 1980 a oggi, ci sono stati tutti, ma proprio tutti) sono quasi tutti morti, senza farne qui l’elenco cimiteriale e nuovi a sostituirne, al di là dell’impresa oggettivamente titanica, non ce ne sono poi così tanti. E visto e considerato che quello che verrà non lascia presagire nulla di buono, né dunque una grande e improvvisa inversione di tendenza, tanto sociale, quanto culturale, dunque economica, chi di dovere deve necessariamente ripensarla, questa manifestazione. Pena, uno svilimento tale, che consentirebbe ai suoi grandi detrattori (demagogici e attaccabrighe di mestiere), di sventolarne l’inutilità, la rimessa e rivendicarne l’inevitabile chiusura, salvo resuscitarla con sagre musicali delle quali non sentiamo, minimamente, la mancanza. Per aggirare l’ostacolo occorre studiare, così, tanto per fare un esempio chiaro a chiunque, come fa l’Atalanta calcio, che per sopperire alle grandi disponibilità finanziarie delle società più quotate del pallone e con le quali deve poi misurarsi durante il campionato, da due lustri abbondanti va a cercare, trovandoli puntualmente, ragazzini in erba che diventano campioni, o come invece ha deciso di architettare l’Empoli calcio, che i campioni prova ad allevarli, riuscendoci, talvolta, nelle proprie scuole calcio. O augurarci che qualche emiro faccia una congrua offerta ai Tafuro, obbligandoli, inesorabilmente, a vendere il marchio e lasciare che a Pistoia arrivi il gotha dei Vip e che la piazza, che fu di Carlos Santana (abbiamo citato lui perché di lui abbiamo alcune belle fotografie), diventi un salotto come il Bilionaire. Ma noi, non ci saremo.

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