di Marta De Sandre

Perché non si dovrebbe sopportare la vita quando basta un nulla per togliervela? Un nulla la mena, un nulla l'emana, un nulla la mina, un nulla l'allontana”. Le parole servono per comunicare, commuovere, divertire, insultare. A volte (raramente) accade che una determinata frase sia semplicemente bella al pari di qualsiasi altra opera d'arte. Come un pittore gioca con i colori creando sfumature emozionanti, Queneau gioca con le parole creando pura e semplice bellezza, lasciando il lettore in imbambolata espressione di stupore in preda a quella che viene definita la Sindrome di Stendhal.

 

Zazie (Zazie nel metrò) è una ragazzina irriverente, sfacciata e ribelle che viene ospitata da uno zio, ballerino travestito, nella Parigi degli anni '50. Il suo sogno è vedere il metrò, ma uno sciopero glielo impedisce per cui si ritrova a vagare per le vie di questa città incontrando personaggi bizzarri e dalla sempre dubbia identità sessuale. Con un linguaggio che supera spesso il limite del turpiloquio, situazioni paradossali e divertentissime, ci si affeziona a questa ragazzina sullo sfondo di una Parigi mai stata così affascinante.

"Allora Zazie, ti sei divertita? Così. Hai visto il metrò? No. E allora, cosa hai fatto? Sono invecchiata".

Ogni volta che parlo di questo autore, qualcuno immancabilmente dice “sì, ma andrebbe letto in lingua originale”. Bravo. Io, in lingua originale, so leggere solo Primo Levi e le mie conoscenze della lingua francese si limitano a capire che se succede qualcosa di brutto in Francia e in tanti scrivono “je suis...” il nome che segue non è mai il loro. Spesso quello di un morto. I traduttori storici di Queneau sono personaggi tipo Italo Calvino, Franco Fortini e Umberto Eco, mica Fabio Volo. A tutti questi nomi (Volo escluso) va la mia immensa e incondizionata stima per la possibilità che mi offrono di rispondere a qualcuno “ma non è più emozionante leggere Queneau e Calvino contemporaneamente”?

 

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