di Marta De Sandre

La felicità è nota per la sua scarsità. Il 3 dicembre 1980 Romain Gary si sparò indossando una vestaglia di seta che aveva acquistato per l'occasione, rossa perché il sangue non si notasse troppo. La delicatezza scelta per l'ultimo gesto della sua vita non fu frutto di un ricongiungimento tardivo all'amore verso il prossimo, tipico di tanti suicidi. Romain Gary era l'essenza stessa della delicatezza: il suo stile, spesso ironico, a volte amaro, è sempre e comunque aggraziato: le sue parole scivolano lievi come gocce distillate di pura bellezza. La saggezza, questa camomilla avvelenata che l'abitudine di vivere versa lentamente nel nostro gargarozzo, col suo gusto dolciastro d'umiltà, di rinuncia e di accettazione.

 

La vita davanti a se’ racconta che nei sobborghi parigini del secondo dopoguerra, Momo, ragazzino di origini arabe e figlio di una prostituta, viene affidato a Madame Rose, prostituta ebrea sopravvissuta ad Auschwitz perché “quando una donna è costretta a fare la vita, non ha diritto di avere la patria potestà, è la prostituzione che lo richiede”. Con Madame Rose instaurerà un rapporto esclusivo che è, fondamentalmente, l'essenza di ciò che comunemente chiamiamo “famiglia”. La voce narrante è la sua: si mescolano abilmente pensieri teneri e ingenui ad altri duri e taglienti, perché Momo della vita ne sa “a pacchi”, ma resta pur sempre un ragazzino e questo continuo alternarsi di gioie e amarezze, in una narrazione lievemente sgrammaticata, lorendono uno dei personaggi più veri e dolci che possiate incontrare in letteratura. Un romanzo che Gary pubblicò sotto pseudonimo, come tanti altri della sua produzione letteraria ma che porta il suo marchio, unico e inconfondibile, come quell'ultima vestaglia rossa.

 

 

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