Viaggio pochissimo e quando parto, lo faccio in macchina. Vivo (e viaggio) praticamente da solo: mia figlia è grande e sceglie le sue destinazioni; mia moglie è solo un ricordo, e non sempre piacevolissimo. Nella mia classe A, della Mercedes, oltre a me possono trovar posto la valigia, un borsone, il computer, la macchina fotografica e anche i racchettoni di legno: se strada facendo incontro qualcuno simpatico, gli chiedo se abbia voglia di giocare. Sono, soprattutto, presuntuoso e i consigli, più che non ascoltarli, mi infastidiscono. Leggo volentieri, ma non moltissimo; mi stanco. Solo bagaglio a meno, però, oltre che averlo divorato (beh, ci vuol pochissimo, è breve e veloce), lo consiglio agli amici, che proprio come scrive Gabriele Romagnoli, l’autore de libro (Feltrinelli), non vanno confusi con i contatti: degli ultimi ci si serve; i primi si servono. E si riveriscono. All’autore, fortunatissimo (fa quel che ha sognato, fa quel che vuole), invidio soprattutto l’altezza, ma anche le posizioni strategiche che ha coperto e copre nel mondo del giornalismo e dell’editoria.

E leggendo il suo libro e soprattutto ripensandoci, mi sono accorto che oltre a non saper viaggiare, non so nemmeno scrivere; sì, perché mi porto puntualmente dietro un sacco di cose letteralmente inutili, che con il trascorrere del viaggio e della narrazione diventano zavorra, dannose. Insomma, mi rendo conto di ingombrare e di essere ingombrante, ma la cosa più deleteria è che mi piaccio, tantissimo. E poi, adoro i colori, preferibilmente sgargianti e per accoppiarli con un minimo di gusto, onde evitare di urtare la vista altrui, bisogna corredarli con una serie considerevole di cromatismi e sfumature, con la postilla, non da poco, che indosso, sempre, calzini spaiati. E già questo mi esclude tra i destinatari di Romagnoli, che preferiscono, come fedeli seguaci, i colori scuri. Ma anche se sono l’esatto opposto dell’autore, il suo pensiero e il suo piccolo e intelligente prontuario degli spostamenti, anche transoceanici, mi ha affascinato. Condivido la sua teoria della decrescita, soprattutto politicamente, che è poi morale, sociale, culturale, anche se non mi sognerei mai di andare al mio funerale: non resisterei un attimo, chiuso vivo in una bara e poi, nel sud della Corea del Sud, a Naju, per l’esattezza, non ci andrò mai, nemmeno se qualcuno mi offrisse il viaggio. Nemmeno se lo facesse Gabriele Romagnoli. Ho letto questo libro proprio in questi giorni, dietro consiglio di un amico, che nel tempo è anche diventato un contatto. L’ho fatto perché il suggerimento precedente è stato La strada, di McCarthy e allora non potevo certo rifiutare. Sabato prossimo parto per una settimana di vacanze, al mare. In macchina, ovviamente, ad un’ora e mezzo da casa. Dietro, lo so, mi porterò un sacco di cose, molte delle quali inutilissime, iniziando dai costumi: ne bastano due, saranno otto; non riuscirei a lasciarne qualcuno a casa. Quando riempirò la valigia, scorderò sicuramente di mettere i calzini nelle scarpe e non adotterò nessuno degli stratagemmi da spazio economicamente spacciati da Romagnoli. Soprattutto non riuscirò a partire e a lasciarmi dietro il dietro: viaggio voltandomi, continuamente. Tra i tanti fardelli, mi porterò anche due libri, uno dei due sempre consigliato da Mauro, il mio amico-contatto-libraio: Riparare i viventi (Feltrinelli), di Maylis De Kerengal (l’altro, devo ancora decidere; forse Coelho, ma non sono sicurissimo). Se dovesse piacermi quanto Solo bagaglio a mano, ve ne scriverò. Altrimenti, pazienza.

Pin It