di Sura Bizzarri
SAYOKO veniva da Osaka. La sua famiglia si era trasferita a Roma e lei, sedici anni, aveva dovuto seguirla. Al liceo Leopardi aveva incontrato Viola. Il primo giorno, nella confusione della scelta dei banchi, si erano sedute accanto e lì erano rimaste. Non che si fossero piaciute subito, erano piuttosto indifferenti l’una verso l’altra. Entrambe erano nuove a quella scuola e l’attimo dell’entrata, l’attimo in cui fra le spinte di chi era in coppia, di chi voleva stare in fondo, di chi preferiva posizionarsi da un lato aveva deciso per loro, spingendole accanto. Sayoko era tipicamente orientale; a Viola pareva un tantino fredda. Parlava a malapena italiano e faceva fatica a seguire la lezione. Gli altri alunni già frequentavano quella scuola, già si conoscevano. Loro erano in disparte, le nuove arrivate, le più invisibili, le più silenziose, le più bambine fra le ragazze. Fu la prof di italiano a chiedere a Viola di seguire Sayoko, dopotutto abitavano nelle vicinanze. Durante un pomeriggio di compiti nella bella casa di Sayoko, su un passaggio di Socrate particolarmente impegnativo, Sayoko sfiorò Viola. Fu un gesto dettato dalla noia, dal bisogno di fuggire dai libri per entrare nella vita, un gesto inconscio che esprimeva vitalità, insofferenza, ma anche sensualità. Fu un tocco impercettibile; i polpastrelli appena tiepidi sfiorarono il collo di Viola e vi si soffermarono, titubanti e insieme decisi. Tum-tum-tum, tumtumtum.
Il cuore di Viola avvertì un’accelerazione inspiegabile, una vibrazione lunga percorse tutto il suo corpo, un sentimento nuovo le fece provare un languore nello stomaco, simile alla fame. Viola continuò a leggere, ma non sapeva più dove stava. Sentiva il respiro di Sayoko che la sfiorava, volutamente. Finirono di leggere ed era già l’ora di rientrare. Tum-tu-tum, tumtumtum. Viola salutò Sayoko con voce nuova e Sayoko sorrideva, sorrideva coi suoi occhi allungati e le labbra ben disegnate. Era tranquillizzante. A Viola sembrava di vederla per la prima volta. Tuttavia qualcosa era cambiato, il semplice tocco delle dita trasformava le consapevolezze di Viola, le faceva dimenticare le favole e la immetteva in un mondo più adulto, fatto di simboli e parole non dette. Il mattino successivo, come sempre, si incontrarono a scuola. Viola la vide dal fondo del corridoio, la sua silhouette era inconfondibile. Tum-tum-tum, tumtumtum. Aveva quasi mal di testa, tanto il cuore le rimbalzava nel petto. La raggiunse e si sedettero all’unisono, i capelli lisci lisci e sottili di Sayoko e i riccioletti castani di Viola, la pelle pallida, lunare di Sayoko e le lentiggini sparse alla rinfusa di Viola. Sua madre ogni mattina le ripeteva di fare attenzione al traffico, alle persone che non conosceva, a chiunque volesse darle qualcosa, mai le aveva detto di guardarsi dalle ragazzine giapponesi, longilinee, eteree, quasi assenti. Tum-tum-tum, tumtumtum. Stare accanto a Sayoko non era più la stessa cosa, era il motivo principale per cui si alzava al mattino, era la freccia luminosa che la guidava verso la scuola. Viola era cresciuta con una madre apprensiva e un padre profondamente geloso di lei, che avrebbe voluto accompagnarla a scuola per controllare di persona che nessuno la guardasse, che nessuno le si avvicinasse più di tanto. Quando Viola diceva ai genitori che sarebbe andata a studiare da Sayoko, loro approvavano senza riserve. Sayoko la teneva lontana dai ragazzi, e non sapevano quanto. Tum-tum-tum, tumtumtum. Viola era vissuta nel suo piccolo mondo, la famiglia, i parenti stretti, due amiche. Man mano che si avvicinava e si addentrava sempre più profondamente nella vita sociale sentiva il bisogno di cogliere le occasioni, di prendere tutto ciò che le veniva offerto, di aprirsi e arricchirsi e illuminarsi di una nuova luce, di un nuovo punto di vista. Tum-tum-tum, tumtumtum. Sua madre e suo padre spingevano in senso opposto, la controllavano, ogni permesso concesso era faticosamente sudato. Sayoko a scuola condivideva il libro con lei e, spesso, sotto il banco, mentre gli occhi seguivano le parole stampate sul libro, le sue dita la cercavano, si posavano su di lei, si addentravano nelle pieghe della sua carne togliendole il respiro. Tum-tum-tum, tumtumtum. Viola aveva cominciato a mettere più attenzione nei vestiti che indossava, aveva cominciato a lisciarsi i capelli, ma i riccetti si arrotolavano come molle, saltavano sulla testa di Viola come se ballassero un twist. Sayoko le sorrideva, rendendole evidente che la amava così com’era; i suoi occhi misteriosi la penetravano, non si distoglievano da lei, la scioglievano. La sua pelle levigata sembrava la seta del kimono dell’imperatore, il suo corpo sottile, ancora immaturo, era un albero tropicale dai frutti succosi, dal fusto liscio, profumato. Tum-tum-tum, tumtumtum. D’altra parte Sayoko vedeva Viola come una primavera toscana, con papaveri e grano e antichi cipressi. Sayoko era libera, era imbevuta di una cultura completamente diversa, soprattutto in abitudini e comportamenti sessuali; si spogliava e si cambiava in presenza di Viola con fare abitudinario, ma Viola intravedeva una sottile malizia nei suoi occhi che si voltavano a cercarla, non appena aveva finito di spogliarsi. E il suo sorriso aperto e insieme timido le sembrava un invito, un invito a non trattenersi, a liberare la sua essenzialità, a lasciarsi illuminare da quel sole orientale. Tum-tum-tum, tumtumtum. Un pomeriggio successe. Avevano interrotto momentaneamente lo studio per ritrovare la concentrazione necessaria, non riuscivano più a prestare attenzione, l’immaginazione correva e colorava le pagine del libro, percorreva il cielo e raggiungeva mari lontani, arcipelaghi di sabbia bianca e atolli incontaminati. Era arrivato l’autunno e il sole cominciava ad abbassarsi nel cielo, a riscaldare appena, a proiettare ombre di tristezza. Viola era malinconica, ma Sayoko, la sua personale ventata di rinnovamento, la stupiva ogni giorno con sfilate di abiti orientali, leggende del suo paese, con racconti della sua vita passata, in Giappone; amici, serate, vacanze, storie di persone che cercavano il divertimento a ogni costo, con pochi limiti e senza pensare troppo. Viola era stanca, ma eccitata. Quel mondo sconosciuto la risvegliava, le faceva sentire possibile, raggiungibile ogni suo desiderio. Tum-tum-tum, tumtumtum. Sayoko si era spogliata e indossava un kimono giallo arancione, stampato con foglie e piccoli arbusti. Profumava di agrumi e i suoi capelli frusciavano sulla seta dell’abito, le sue dita operose intrecciavano fili di stoffa per farne un segnalibro. Tum-tum-tum, tumtumtum. Sayoko cominciò a massaggiare le spalle dell’amica, le sbottonò la camicetta e le sue dita esperte le levigavano il collo, le scioglievano i primi muscoli della schiena, le propagavano benessere in tutto il corpo. Tum-tum-tum, tumtumtum. Il battito accelerava pericolosamente, mentre Viola si sentiva protetta, custodita, riportata all’infanzia e al rapporto primordiale con la madre. Sayoko cominciò a scherzare, ad abbassarsi su di lei, a sfiorarla coi capelli, a parlarle con nomignoli birichini, in parte italiani, in parte giapponesi, quella mescolanza aveva un suono quasi ipnotizzante. Tum-tum-tum, tumtumtum. Viola aveva un po’ paura, sentiva il suo controllo svanire, inerpicandosi pericolosamente in un territorio completamente sensoriale. Tum-tum-tum, tumtumtum. Il sangue pulsava nelle tempie, era più fluido, percorreva velocemente tutto il corpo, all’impazzata, l’attaccatura dei capelli formicolava e quando, ridendo, Sayoko lasciò scivolare e cadere il kimono, Viola si sentì presa e sballottata da un’onda, non riusciva a riemergere, la schiuma la circondava, l’acqua la accarezzava e la stordiva. Tum-tum-tum, tumtumtum. Non poteva reagire, non poteva opporsi, non le rimase che lasciarsi andare. Pensò un attimo alle raccomandazioni di sua madre, all’ira di suo padre, se solo avesse immaginato. Poi tutto si tinse dell’oro della pelle di Sayoko, del sapore delle sue labbra che era arancione come un mandarino, del contatto acerbo coi suoi piccoli seni di luna. Viola si lasciò spogliare, era trasognata, gli occhi semichiusi erano catturati da un movimento ellittico, tondo, pastoso, morbido, pulsante. Tum-tum-tum, tumtumtum. Sayoko normalmente parlava poco, era enigmatica, si esprimeva coi movimenti sicuri della sua figura elegante, che parlava di generazioni di mandarini, che le avevano trasmesso secoli di rigide regole sociali, rimaste ormai solo nei movimenti fluidi e decisi e nella capacità di saper attendere. Tum-tum-tum,tumtumtum. Quel pomeriggio Sayoko era diversa, era loquace, piena di risolini e ammiccamenti; voleva far star bene Viola, voleva calmare il suo mare agitato, toglierle la paura della prima volta che lei aveva già provato, solo sei mesi prima, in Giappone. Tum-tum-tum, tumtumtum. Viola era completamente scivolata in quel gioco minuzioso di lievi tocchi e baci che esploravano la bocca. Si fidava ciecamente dell’amica e si lasciava guidare da lei. A quel punto, quando percepì la totale partecipazione di Viola, Sayoko smise di ridere e percorse Viola con tutta la maestria orientale del suo corpo felino. Al contempo accarezzava l’amica come una madre, quasi vezzeggiava quel suo corpo più consistente, ma altrettanto immaturo. Tum-tum-tum,tumtumtum. Viola vibrava e Sayoko, tiepida e armoniosa, suonava le sue corde magistralmente. Scambiarono ogni centimetro del loro corpo, toccarono le prime vette di un piacere che per Viola era nuovo, travolgente, ma sicuro come un grembo materno. Tum-tum-tum, tumtumtum. In realtà non avrebbe mai creduto di arrivare a tanto. Aveva sottovalutato l’aspetto prevalentemente sessuale che da subito aveva acceso il suo rapporto con Sayoko. Lei gioiva di un’amicizia particolare, totale, complice, coinvolgente. Di ammiccamenti, di una confidenza estrema che non aveva mai sperimentato prima, dell’annullamento di ogni suo segreto. Che bello potersi aprire, poter parlare di tutto, ma proprio di tutto! Viola amava i racconti pieni di pause di Sayoko, ammirava le sue dita sciolte e quel modo di toccare le cose quasi impercettibilmente. Amava quando Sayoko le pettinava i capelli in acconciature orientali e invidiava il modo in cui l’amica si passava le mani sul corpo, sul viso, il modo in cui scioglieva i muscoli all’inizio dell’ora di educazione fisica. Tum-tum-tum, tumtumtum. Ma non aveva sospettato che sarebbero arrivate a tanto, la sua giovane mente intravedeva, ma non coglieva chiaramente il significato di quel corteggiamento reciproco. Il modo in cui Sayoko aveva gestito il lento progredire delle cose era molto naturale, non faceva sentire Viola colpevole, degenerata, sbagliata. Quando le altre compagne facevano commenti sui ragazzi, quando si raccontavano a vicenda le loro storie, Sayoko e Viola si mantenevano al di fuori, sembravano immature o pudiche. E i ragazzi non le cercavano, dovevano emettere qualche segnale che li allontanava, un sentore che, indirettamente, a pelle, rivelava il loro disinteresse per gli uomini. Tum-tum-tum, tumtumtum. Dopo il primo pomeriggio, gli incontri diventarono più distesi. Viola cominciò a sentirsi abbastanza sicura da prendere talvolta l’iniziativa, in modo del tutto naturale. I loro incontri erano giochi di bimbe. Mentre visitavano a vicenda la loro vagina, sembrava giocassero al piccolo chirurgo e commentavano il tutto con risa infantili, ma complici, facce buffe mescolate a sospiri di piacere. Giocavano a spremere i loro piccoli seni come piccole tirolesi che mungono una mucca e si travestivano con fantasia sfrenata. Che bello essere giovani! Tum-tum-tum, tumtumtum. Ma ogni volta l’incontro, il primo impatto con Sayoko innescava una serie di reazioni chimiche difficilmente controllabili, ormai immagazzinate nel reparto emozioni del cervello di Viola. Il cuore rallentava, quasi si fermava in una stretta cattiva, il viso di Sayoko era indecifrabile – una fata? una strega? – poi si scioglieva improvvisamente, pompando incredibilmente per rimettersi in pari coi battiti perduti, era un martello pneumatico nella cassa toracica di Viola. Il suo corpo botticelliano, appena rotondo, armonioso, fatto di colline e pianure appena ondulate si protendeva fisicamente verso Sayoko. Tum-tum-tum, tumtumtum. Ma Viola era giovane, non era patetica, si riprendeva immediatamente dal colpo dell’impatto e si apriva in un sorriso ancora infantile, furbo, intelligente. Nessuno si accorgeva della particolarità del loro legame, perché erano due ragazzine sveglie, pratiche, abbastanza intelligenti da non ridicolizzare la verità della loro intersecazione. Riuscivano bene a smorzare l’emozione, quando erano in pubblico e, comunque, non era loro congeniale parlarsi con dolcezza, assumere atteggiamenti caramellosi neanche quando erano sole. Tum-tum-tum, tumtumtum. Il tempo le maturava e la loro bellezza, soprattutto quando erano in coppia, così diverse ma così estremamente belle, vere, disinvolte, solari e misteriose insieme cominciava a renderle appetibili agli occhi di molti. La classe ormai si era amalgamata e non c’erano più reticenze, divisioni. Il dialogo era aperto fra tutti e la loro disattenzione verso i ragazzi veniva unanimemente attribuita più a una loro frequentazione fuori dall’ambito scolastico, che a una vera mancanza di interesse, anche se qualche dubbio cominciava a filtrare. Il loro comportamento era diverso da quello delle altre ragazzine, che tendevano a ostentare loro stesse a ogni costo, che spesso eccedevano, così come è tipico dell’adolescenza. Con loro, tutto sembrava facile. Il loro banco, col tempo, era diventato un raduno di chiacchiere e ragazzini tutti occhi. Né Viola né Sayoko si chiedevano cosa sarebbe stato il futuro, né sentivano il bisogno di confrontarsi con loro stesse, o di provare rapporti con ragazzi. Questo era il presente e per loro andava bene. Non si sentivano colpevoli, né diverse, quel loro rapporto aveva generato un’alchimia chimica molto particolare, aveva rafforzato le loro capacità umane, le aveva rese fragili come ogni ragazza e insieme pratiche e facili come i ragazzi. L’equilibrio perfetto della loro androginia era un miracolo retto da fili sottili, in bilico fra leggeri venti benigni, alimentato da misteriose correnti impalpabili che avrebbero potuto dissolversi da un momento all’altro. Viola e Sayoko, un universo a parte, una giungla di colori e sensazioni e spontaneità. Una serra umida e verde di germogli dalle fioriture e crescite inaspettate, fantasiose, un felice divenire. Nuovi progetti, nuovi modi di affrontare e vedere e rielaborare le situazioni, man mano che si proponevano, senza forzature, senza preconcetti o schemi obbligati. Viola e Sayoko, un legame vero che probabilmente non sarebbe potuto durare. Forse solo la rampa di lancio per la loro vita futura. Tum-tum-tum, tumtumtum. Trascorse l’anno scolastico, la classe ormai era un grumo di amici, i vari gruppi si muovevano sicuri nella scuola e anche in città. Si ritrovavano spesso al di fuori del liceo, Roma era il teatro dei loro pomeriggi, era il sapore e l’odore di quel periodo così importante, così speciale per la vita di ognuno di loro. Nel mese di luglio la famiglia di Sayoko annunciò che sarebbero ritornati in Giappone. Le cose non erano andate come avevano previsto, la ditta commerciale che li aveva indirizzati su Roma li richiamava alla sede abituale. Viola avvertì la catastrofe, capì il significato della parola voragine, sentì il mondo che si era felicemente costruita accartocciarsi sopra di lei, e comprimerla. Anche Sayoko piangeva, ma la sua visione del mondo era più oggettiva, il suo pensiero era più razionale. Sapeva soffrire e, soprattutto, sapeva sopportare. Lasciava che l’acqua scorresse seguendo il suo corso, che le nuvole si ammassassero in fondo al cielo per poi lasciarlo libero e pulito. Sayoko sapeva che c’era un equilibrio naturale in ogni cosa, precostituito, esistente da sempre; a volte vacillava. Bisognava attendere e cercare di riassestarlo, o meglio, cercare di accelerare quel processo di riassestamento che era innato. Tutto questo spiegava a Viola mentre baciava le sue lacrime e, silenziosamente, piangeva le proprie. Gli ultimi giorni furono strazianti, era intollerabile provare un sentimento così forte, così completo, sapendo che entro poche ore sarebbe stato interrotto. Viola parlava, ma non riusciva a esprimere chiaramente quello che provava: Sayoko, vorrei che tu potessi impollinarmi, potessi darmi un figlio. A quel punto dovremmo stare insieme! Sayoko fu forte per entrambe. La sera prima della partenza tutti gli amici si ritrovarono per salutarla, e poi. Tumtumtum, tum-tum-tum. Il cuore di Viola si era raffreddato, si era rallentato al minimo della sua funzione vitale. Il tempo avrebbe ristabilito l’equilibrio, avrebbe spostato di nuovo il baricentro nel susseguirsi delle vicende che compongono una vita. Tum-tum-tum, tum-tum-tum. Già dopo un mese il cuore si era stabilizzato, ma avrebbe accelerato ancora. Nel suo futuro, lei non riusciva a concepirlo, ci sarebbero state altre storie e il matrimonio con un uomo, una famiglia, dei figli. Di Sayoko si ebbero notizie per diversi anni, poi più niente. Chissà cosa la vita aveva previsto per lei. Tum-tum-tum, tumtumtum.