di Elena Bernardini
NON PUO’ RITORNARE chi ha sentito la voce delle sirene. Non può stare con le ali ferme e i piedi a terra chi azzarda il folle volo. Passavo i giorni sull’ultimo scoglio dell’isola, cercando di trovare vele. Guardavo il sud attraverso il mare e mi sembrava tanto grande che gli occhi accecavano da tanta luce e da tanti miraggi. Al crepuscolo, poi, era la spiaggia a contare le mie orme: io non mettevo insieme i numeri. La pazienza si impara intrecciando i fili della mente, sottili come tela di ragno che cattura gli insetti. Alcuni servono come nutrimento, altri vengono osservati durante l’agonia fino a quando non decidi se liberarli o lasciarli morire. Anche la fedeltà si impara. La sua forma muta, come quella dell’amore: te ne accorgi guardando il mare che resta sempre se stesso, si adatta a venti, correnti, pesci, navi, sirene e mostri ma, con il suo andare e tornare, abbraccia sempre la terra. Io sono terra. Tu sei mare. Il tuo abbraccio adesso è per una terra che si è fatta diversa, restando sempre se stessa. Ho arato, dissodato campi; li ho concimati con i pregiudizi, con la fissità delle icone; li ho curati con la consapevolezza della fatica che serve a rendere una terra fertile per se stessa. I frutti sono aspri, ma dolcissimi se ne sai incidere la scorza. E comunque mai velenosi, e abbondanti. È terra generosa quella che impara se stessa.
È accogliente, sa ascoltare il suono del vento e il ritmo della pioggia. Resiste ai denti aguzzi del gelo e alla ferocia del sole. Per questo il tuo ritorno, se a momenti placa la nostalgia di me che non ho visto altro mondo se non quello della mia anima, in altri fa gridare il mio cuore per la fissità nella quale mi hai lasciata per un tempo eterno, quello in cui avremmo potuto scavare insieme le nostre profondità. Ti riconosco, ma non ti conosco più. Ti amo sempre, ma di un amore che non ho sperimentato insieme a te. Perché sei tornato? Perché sei venuto a scuotere la corda sulla quale io, come funambola, ho imparato -aggrappata ai fili dei discorsi su di te - a camminare con poche esitazioni? Perché hai messo alla prova il tuo coraggio, la tua determinazione, la tua ostinazione? Per tornare da me? Non credo, lo sapevi che non avresti trovato la stessa donna. Sapevi che non ti sarebbero bastati un cavallo di legno o vino in abbondanza per inebriarmi con i tuoi discorsi arguti. Immaginavi – certo - che la tua mancanza mi avrebbe dato l’occasione di percorrere sentieri sconosciuti all’interno di me e di te. L’ho fatto senza stancarmi mai, a volte cedendo, a volte ruggendo come una leonessa contro il mondo e gli dei. Non mi aspetto la sfida: la consapevolezza è quello che voglio da te. Non ho niente da dimostrare, solo da raccontare, se vuoi, storie incredibili di assenze e nostalgie che sono state capaci di interrompere la spirale dei pensieri che avrebbe potuto farmi cadere nel dirupo di una vita inutilmente spesa ad aspettarti. Quindi, ecco, la tua terra ti accoglie senza pretendere che la riconquisti: devi solo riavvicinarti a lei con la delicatezza che si chiede a un ospite che si rivede dopo tanto tempo. Il nostro regno, grande come il ceppo di un ulivo, è sempre là. Adesso lo si raggiunge perdendosi nei sentieri di un labirinto. I fili dei nostri racconti ci potranno aiutare a non perdersi. Però non ora. Adesso no, sto sola ancora un po’, su questo ultimo scoglio che guarda il sud attraverso il mare, che vede venti e burrasche, che stringe gli occhi al bagliore del sole, che sfida i miraggi e le fate morgane, che cerca le vele. Se vuoi c’è posto anche per te, su quello scoglio. Se vuoi mi puoi stare vicino. Ma non parlare, per ora.