di Sura Bizzarri

SI ENTRA in una famiglia semplicemente venendo al mondo, casualmente. E lì si cresce imbevendosi inconsapevolmente del suo dna, della sua vita propria, delle sue abitudini, dei suoi personaggi. Mica ci si chiedono perché. Quella in cui cresciamo è la normalità, lo stato acquisito, è tutto ciò che conosciamo della vita, è tutto ciò che esiste per la mente vergine di un bimbo. Le regole della casa diventano le nostre regole. Il modo di disporre gli oggetti, l’armadietto delle medicine, il posto delle stoviglie nella credenza, le piantine grasse sopra il frigo e la chiave nell’incavo fra il conchino e il pozzetto dell’acqua. L’orologio nel primo cassetto e le candele per quando va via la luce nell’interstizio fra il contatore e la mensola. La frutta sul centro tavola e le mollette per i panni appese al davanzale. Giovannino conosce bene queste abitudini, ha esercitato spesso la sua fantasia nel rivoluzionare la disposizione degli oggetti, ma non una di esse la mamma ha evitato di correggerlo e la nonna ha sempre rincarato la dose. Giovannino ricorda, da quando esistono i suoi ricordi, di aver visto la zia Nora, la signora col velo, nell’angolo estremo della cucina, seduta sulla vecchia sedia di vimini con lo sguardo fisso sul pavimento. Quello che per altri può sembrare un comportamento bizzarro per lui è la normalità. Va da sé che qualche volta abbia inciampato nella sua lunga gonna scura e che nei suoi innumerevoli nascondigli si sia avventurato fra le sue gambe ferme, proprio sotto la cappa pesante di stoffe austere.

Ma le sue sollecitazioni nei confronti della zia Nora non hanno mai innescato risposte gioiose. Le sue esplorazioni hanno dovuto arrendersi di fronte all’imperturbabilità di quella donna insensibile, forse proveniente da stagioni ormai dimenticate. La zia è stata da sempre una presenza quasi muta e quasi ferma. Le parole necessarie per rispondere ai bisogni degli altri, per comunicare non tanto i suoi desideri quanto semplici informazioni di servizio, i suoi gesti quelli necessari al buon andamento della vita familiare. Raramente la zia Nora gli ha accarezzato la testa, ma Giovannino ricorda il suo odore, sempre lo stesso, perché la zia non ha mai usato profumi. Il tempo ha portato Giovannino ad uscire da casa, ha allargato i suoi orizzonti, gli ha dato modo di conoscere altre persone, altri bimbi come lui, altre famiglie e nuove abitudini, più o meno equivalenti a quelle di casa sua. E proprio in quel confronto, nello scambio di informazioni che aprono gli occhi alla vita e alle sue possibilità, si è reso conto di quanto la figura della zia Nora non avesse uguali. Così ha cominciato ad addentrarsi nell’oscurità di quella donna che non ha mai conosciuto veramente. Perché lei ha sempre parlato lo stretto necessario, si è sempre nascosta sotto stoffe scure, celando anche il volto. E ha sempre camminato in punta di piedi, senza fare rumore, ha preferito bisbigliare anziché urlare. E sottrarsi alla vita. Aprendosi agli altri, Giovannino ha imparato a scandagliare quello che da sempre lo ha incuriosito, seppure nascosto sotto la luce di una normalità evidentemente falsata. Giovannino pensa, fruga fra i ricordi e rivede scene sfocate; le sue manine piccole che sfrontatamente cercano di sollevare il velo. Il velo della vergogna, della fuga dalla vita, di una qualche espiazione? È oggettivo che quel velo non sia mai stato sollevato e la riservatezza estrema della zia non sia mai stata violata. Come una regola familiare mai pronunciata, ma imperante, Giovannino ha introitato il comportamento della donna e dei familiari come legge inviolabile, come dogma stigmatizzato. Chiaro che tanto riserbo abbia acceso la sua fantasia; il richiamo alle favole, ai racconti del terrore. Inutile chiedere ai genitori, solo sorrisi rassicuranti che lo invitano a rispettare la riservatezza della zia: lei è così, è buona, è esattamente come me, come te, come noi, solo non vuole farsi vedere. Giovannino ha compiuto sette anni e la sua fantasia si è infiammata di interesse spasmodico. Ha insistito e lottato per scambiare la sequenza dei posti intorno al tavolino. Giovannino si è conquistato il posto accanto a zia Nora e i suoi sensi si sono affinati per cogliere ogni suo respiro, ogni rumore, ogni fragranza esalante dal suo corpo scuro. Ha cominciato a porsi domande sempre più specifiche, sempre più mirate sul corpo e il comportamento della zia. E la sua mente prolifica ha cominciato a produrre tesi circa trasfigurazioni del volto, segreti inconfessabili e segni demoniaci tanto gravi da imporre e giustificare il nascondersi alla vita. Contemporaneamente, Giovannino ha a pensare sempre più frequentemente a cosa possa nascondersi fra le cominciato gambe delle donne e, ancora più insistentemente, a cosa possa nascondersi fra le gambe della zia Nora. Il suo è un sentimento che ondeggia fra desiderio e paura nei confronti di quel personaggio impalpabile fatto di silenzi e gesti misurati. Un mondo a parte, isolato e ovattato, lontano, nonostante la presenza, da quello della gente comune. I lievi fruscii della lunga gonna nera sono stimoli centuplicati nella percezione di Giovannino. Ogni volta che lei gli passa vicino, lui cerca di accorciare ulteriormente la distanza per poter toccare col suo il corpo di lei. La zia, percependo tanto interesse, si fa ancora più trasparente e si rifugia nella sua sedia nell’angolo. Lui, di contro, vorrebbe entrare nella sua camera e guardarla quando si spoglia, quando finalmente toglie il velo. Il suo desiderio è quasi uno spasimo, lui vuole vedere, capire, imparare. Diverse volte, la sera, ha provato a spiare attraverso il buco della serratura di quella camera un po’ in disparte rispetto alle altre, ma la zia lo ha subito ovattato con un bel batuffolo di cotone. Altre ancora, ha lentamente allargato la fessura della porta sbadatamente accostata avvicinando il visetto paffuto, ma mai in una di esse è riuscito a cogliere la zia in un momento d’intimità. Si sa, a quell’età tutto è passeggero, gli interessi galoppano e l’attenzione si lascia attrarre da qualsiasi novità, ma il segreto della zia rimane un punto nevralgico, un nervo scoperto nella formazione che indirizza la crescita di Giovannino. Quella presenza bizzarra, vissuta dalla famiglia con estrema naturalezza, è il pungolo che dà vita a fantasie deliranti, che gonfia i sogni fino a renderli terrorizzanti, gotici, sfilacciati da brandelli di carne, o primitivi e fiabeschi. Man mano che il tempo passa e Giovannino inizia a indirizzarsi verso quello che sarà il Giovanni di domani, quello spasimo si acquieta, salvo intensificarsi di nuovo quando qualche compagno di scuola, frequentando la casa, risveglia il mistero di una situazione ostinatamente irrazionale. Ormai lui sa quanto la cortina di omertà e perbenismo che circondano la vita e l’intera vicenda della zia siano impenetrabili e indistruttibili. Poi, un giorno, inaspettatamente, i primi segni del vacillamento di Nora fanno intravedere possibili evoluzioni. Perché la zia si è sentita male, non una semplice influenza o un qualunque altro disturbo passeggero. Dopo giorni e giorni di malessere ostinato, Nora ha dovuto informare la famiglia del bisogno di farsi vedere da uno specialista. È stata ricoverata in ospedale e al suo ritorno non le è stato possibile riprendere i suoi riti di vestizione. Ha dovuto invece rimanere imprigionata in una lunga, austera, camicia da notte. Il velo scuro, inutile dirlo, è rimasto a coprirle il volto. Giovannino, distrattamente avvia to a trasformarsi in Giovanni, ha seguito, all’interno della vita familiare, la lenta metamorfosi di zia Nora. Una metamorfosi invisibile a chiunque, protetta da stoffe, lenzuoli, coperte e dal suo velo, ma palpabile dalla porta sempre chiusa della sua camera, dalla luce filtrata attraverso la fessura sul pavimento. Inconfondibilmente, indubitabilmente, la vita di Nora sta regredendo a uno stato fetale, per avviarsi verso la morte. Chiaro che la zia non ha più la pienezza dei gesti e questo potrebbe essere un buon alibi per abbandonare l’austera compostezza del suo abbigliamento, per rinunciare allo spesso velo che certo deve essere di ostacolo al respiro già di per sé difficoltoso. Al contrario, forse a seguito di un tacito accordo intervenuto fra lei e la sorella, il suo aspetto continua a mantenere piena attinenza col passato. Solo la mamma ha accesso alle cure intime della zia. Le sue visite in camera sono silenziose e laboriose, Giovannino ne ha sporadiche visioni nelle occasioni in cui la porta lascia entrare sua madre. A parte questo, la sua presenza nella stanza è stata caldeggiata in rare occasioni per fare visita alla zia ammalata. Ogni volta il letto perfettamente tirato, i capelli di lei composti e ben pettinati, la camicia da notte stirata e profumata. La zia, silenziosa come di consueto, si è limitata ad alzare la mano verso di lui e a girare il busto irrigidito nella sua direzione, sola, stanca, col respiro ancora lieve, ma strascicato penosamente. In certi momenti, quelli di passaggio, che siano una nascita o una morte, si avverte nella casa uno stato di calma quasi irreale. Si attende. Si attende e nient’altro. Giovannino esce in cortile a giocare a pallone, ma senza fare rumore. Evita di far rimbalzare la palla sul muro al di là del quale il corpo della zia Nora, certo ancora più straziato di quanto non debba esser stato da sempre, fatica a procurarsi l’aria. Parla fra sé, come fanno tutti i bimbi quando, giocando, non fanno altro che riprodurre i mestieri dei padri: brum brum fa la macchinina, toc toc toc il martello sul muro, sgrat sgrat la draga che scava nel terreno. Poi la mamma esce e lo abbraccia, gli chiede di fare piano, la zia se ne è andata, pur essendo ancora lì, nel suo letto ben tirato. Giovannino non riesce a rendersi conto del significato della morte, capisce solo che da lì in poi non vedrà più la zia dondolare sulla sedia di vimini. Si siede sulle mattonelle della corte col pallone fra le gambe e osserva il susseguirsi del dottore, dei parenti, la lunga processione delle formiche in continuo movimento. Poi si fa sera. Tutti sono a letto e Giovannino sente che questa è la sua ultima occasione. Il cuore in tumulto da una paura inconfessabile, in bocca il sapore sgradevole della cena mal digerita, le mani sudate e i piedi anche, mentre scalzi lasciano impronte sul pavimento. Cammina piano, smuove la porta con cura e scivola fuori dalla sua camera. Percorre il corridoio fino a giungere a quella della zia; filtra un refolo di luce fievole e opaca, tutto è fermo. Un respiro forte mentre le dita premono sulla maniglia. Tac, la porta si schiude e il terrore delle ombre sulla parete guida il suo sguardo. Gli manca il coraggio di abbassare gli occhi sul letto, ma vuole farlo. Avanza piano con la testa girata da una parte, in modo da vedere solo la finestra. Il tempo a sua disposizione è poco, deve, vuole trovare la forza. Tappando la bocca con dita bagnate di lacrime, si volta piano fino a vederla, nel suo abito scuro, col velo spesso calcato sul volto. Allora il cervello manda l’impulso alla mano, che si avvicina piano percependo il freddo di quel corpo immobile. Non vuole toccarla, solo alzare il velo e porre fine all’ossessione. Con gli occhi chiusi, le labbra contorte in uno spasmo, il sudore freddo lungo il corpo, avvicina le dita e lentamente, tremando, alza un lembo del panno. L’attesa dell’orrore lo fa tremare. Ma il volto della zia Nora è di una bellezza imbarazzante, sottili rughe sotto gli occhi aperti sottolineano una femminilità che non ha mai potuto specchiarsi e si è tenuta lontana dagli altri nella piena inconsapevolezza di se stessa. La pelle chiara non ha subito imperfezioni e le guance incavate esaltano lineamenti perfetti. Una lacrima inconsapevole cade dalla guancia di Giovannino e bagna gli occhi ciechi di zia Nora, prima che vengano chiusi per non riaprirsi mai più.

 

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