di Tullio De Piscopo

NAPOLI. Era domenica. Guardavo il calendario.

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Qui gatta ci cova… Una sensazione tenue e inesorabile si insinuava da qualche tempo fra le pieghe delle mie giornate e della mia routine, fatta di studio, esibizioni e lezioni a scuola. A breve avrei festeggiato il mio compleanno, assieme ai miei amici, ai miei nipotini e alla mia famiglia. Qualcosa non andava in quei numeri e nel mondo. In Cina si ammalavano; come si chiama la città? Wuhan? In Italia c'erano persone ricoverate all'Ospedale Spallanzani di Roma, al Nord si parlava di focolaio e si andava a caccia di un fantomatico Paziente zero. E poi, come in un disegno a tinte forti, il dispiegarsi del lockdown su tutto il territorio italiano, la reclusione in casa propria, la separazione sociale. Qualcosa di nuovo, mai sperimentato dalle nostre generazioni, prima sottovalutato, poi acquisito in tutta la sua imponenza. Scelto dalle popolazioni mondiali per combattere il virus, per arginare il numero dei morti, per limitare il contagio.

Sabato 14 marzo.

Paura

Paura palpabile, nonostante i volti ostinatamente lieti della gente, sui balconi e alle finestre, che applaudiva e cantava l'inno di Mameli. Ma nell’anima c’era solo paura. Gli anziani erano in pericolo, quegli stessi anziani che avevano superato indenni i tempi della guerra cadevano a moltitudini, quelli nelle Residenze Sanitarie Assistenziali completamente indifesi, vittime di una disattenzione sciagurata. Una generazione decimata mentre il virus si diffondeva senza tregua dal lodigiano alla bergamasca, alla Lombardia, al Veneto, all’Emilia, al Nord e al Sud Italia. Oggi, passati ormai due mesi, siamo qui a raccontarci l’accaduto, a metabolizzare, a razionalizzare qualcosa di irrazionale che mai ci saremmo aspettati entrasse così violentemente nelle nostre vite. Abbiamo vissuto momenti difficili e abbiamo dovuto reinventare le nostre abitudini. Abbiamo dovuto difendere, oltre la nostra salute, soprattutto la nostra lucidità, minata continuamente dalle tremende notizie dei tg, veri e propri bollettini di vittime e caduti di guerra. Stateve a’ casa.

Siamo stati costretti a ricavarci nel nostro inaspettato e più angusto spazio quotidiano nuove consapevolezze e serenità. Personalmente vivo con determinazione le mie giornate, sono qui, affronto con forza la situazione, cerco di sentirmi libero nonostante le mura che mi circondano. Ho mia moglie vicino, anche se certe volte mi fanno più paura i suoi stati d'animo che il virus. Qualche volta mi lascio andare a riflessioni su come è stata gestita all’inizio l’emergenza. Mi fa male quando penso che molte vite le abbiamo perse perché non abbiamo avuto il coraggio di chiudere tutto al primo accenno della diffusione dalla Cina. Errori, ad esempio, quelle partite di calcio, evidentemente a rischio, che già dal 19 febbraio dovevano essere disputate a porte chiuse o addirittura non disputate, con buona pace degli utili economici. A questa sottovalutazione iniziale è stato pagato un tributo enorme in vite umane, quelle dei nostri anziani. Ancora oggi la tv mi ferisce le orecchie, le immagini trasmesse mi trafiggono. Ci dicono che il picco è passato. Parole. Neanche Trump, né la Merkel o la Regina Elisabetta, come me, potevano sapere di quest’avventura. Il futuro è ancora incerto e nulla sarà più come prima, non siamo in un film, questa è la realtà. Per fortuna ho la Musica. Con lei vivo sempre in perfetta sintonia. Mi lascio andare tra le sue braccia. Invento una tecnica sul tamburo. Scrivo a mano esercizi per i miei allievi. Ho acquisito lo strumento informatico per le videolezioni. Faccio video assieme agli amici musicisti per essere forti nell’avversità, per trasmettere coraggio a chi ci sta vicino oltre che il necessario invito a non uscire dalle case. La notte respiro nuove sensazioni. Mi corico nel grande silenzio che mi circonda quando, come per consueto appuntamento, sorgono dal passato le immagini della mia infanzia. Immagini di una vita di tanti anni fa, i compagni scugnizzielli, don Pasquale l'olivendolo e la sua bancarella di alimentari. Malinconia e tristezza. Ma poi mi accorgo che le difficoltà vengono per essere superate, e quanto distanti sono ormai quegli scheletri del passato, abbattuti dalle tante e ricche vicissitudini che ho avuto la fortuna di vivere sino ad oggi. Alla fine mi addormento sereno, figurandomi il giorno in cui Covid-19, piccolo mostro del nostro tempo, sarà mero copione per un nuovo film. Non inventato, ma storia da tutti noi VISSUTA.

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