di Elisabetta Cosci
NIBBIAIA (LI). La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione. (Giorgio Gaber). Cinquantatreesimo giorno di quarantena (che poi, perché continuiamo a chiamarla quarantena, se siamo già a 53 giorni, devo capirlo): l’esilio forzato in casa prosegue. Ieri sera, 26 aprile, nel giorno successivo a quello in cui si festeggia la festa della libertà, il primo ministro ha comunicato alla nazione che ancora almeno per un mese e poco più nulla cambierà. Per carità, il virus è ancora vivo e lotta contro di noi, è giusto restare a casa, stare alle regole; chi dice riapriamo tutto e torniamo alla normalità è un pazzo incosciente. Però un dubbio permettetemi di esprimerlo: mi chiedo dove stanno le novità alle quali ha lavorato il comitato tecnico scientifico degli illuminati (tutti rigorosamente maschi) che supporta il governo nella gestione dell’emergenza? Stupisce il fatto che non c’è alcuna progettazione in vista; gli esperti ci regalano contentini che allontanano l’attenzione dal problema reale: il virus non è stato ancora sconfitto, non c’è una strategia di cura, non ci assicurano i tamponi, i test sierologici, non c’è una rete di sicurezza per chi si contagia, per chi si ammala e per chi gli sta vicino. L’economia è in ginocchio e gli esperti (ripeto, tutti rigorosamente maschi) dimenticano le famiglie, le donne, i ragazzi, i bambini, dimenticano i diritti e non ci garantiscono una rete che ci renda più sicuri.
Siamo ancora all’aspetta e spera condito da un’abbondante dose di paternalismo: dimentichiamoci i campi estivi e gli oratori. Questo deve essere chiarissimo, tuona l’esperto in conferenza stampa. Gli uomini al tavolo di comando e le donne in trincea, a gestire la casa, la famiglia, a prendersi cura dei figli, aiutarli nello studio, visto che le scuole non riapriranno, ma i ragazzi devono comunque studiare, partecipare alle lezioni on line; e a chi il computer non ce l’ha e magari non ha neanche la connessione internet? Tranquilli, ci sarà sempre un bravo sindaco che manda a casa un commesso con la mascherina e i guanti per consegnare il dono con tanto di foto assicurata sul quotidiano locale, mentre lo ritira. E poi chissenefrega se il ragazzino è riconoscibile e se per tutti gli amichetti e i compagni di classe resterà quello che non aveva i soldi per comprare un computer. Ma tanto, di tempo prima che i bambini, i ragazzi, possano tornare a socializzare, a relazionarsi tra loro da vicino, a giocare, interagire e magari anche a contaminarsi con virus e batteri come hanno sempre fatto, ne passerà molto. Gli esperti hanno deciso che tutto ciò che è pubblico è pericoloso, per cui continuano a ridurre tutto alla sfera domestica, ci addomesticano. Milioni di famiglie schiacciate da settimane di gestione affannosa di lavoro-figli-casa: le scuole riapriranno a settembre e per i minori in età prescolare e scolare, totalmente a carico di mamma e papà che adesso appena scatta la fase 2 magari devono tornare al lavoro? E accade così che il diritto allo studio diviene residuale rispetto al diritto di lavorare. Intanto il capo della protezione civile, Angelo Borrelli, in un’intervista su Fanpage, ci fa sapere che non ci sono donne nel comitato tecnico scientifico perché nessuna carica tanto rilevante, che ha affiancato il Governo nella gestione dell’emergenza, è occupata da una donna. Forse - cito un’amica, sagace giornalista milanese - qualcuno dovrebbe spiegargli il concetto di interdipendenza, per cui se non si riconoscono le competenze e se poi si blocca alle donne il loro ascensore che porta le competenze al piano del potere, il tetto di cristallo non solo non si rompe, ma neanche si incrina. Perdonate lo sfogo, mi taccio e resto a casa. In fondo, di che posso lamentarmi: vivo in campagna al limite del bosco, se esco di casa posso incontrare tutt’al più cinghiali e volpi. Passo le giornate lavorando, al computer, eternamente collegata, con le riunioni fiume in videoconferenza, e per fortuna che la saponetta mi permette la connessione: qui wi fi non arriva. Scrivo comunicati su festival che non ci saranno, di un turismo che non sarà quello di sempre e poi riunioni in chat. Le giornate volano e talvolta arrivo a sera che ho fatto la metà delle cose che mi ero preposta. Come molti, da settimane vivo in tuta; una mia amica mi ha detto nell’armadio i miei abiti penseranno che sono morta, quest’immagine mi ha fatto molto ridere. Guardo fuori dalla finestra, si vede il mare e si vedono le stelle, il cielo senza aerei è limpido e luminoso, non lo avevo mai visto così. In questo silenzio interrotto solo dai canti degli uccelli, decido che è arrivato il momento di tornare a fare l’orto. È tornato il momento di riappropriarsi della vita, del tempo e di noi. Ma prima, domani, scrivo a Borrelli e gli racconto la storia di un paese, la Finlandia (decretata dall’ONU il paese più felice del mondo) che è guidata da una coalizione di donne, con una premier appena trentaquattrenne. La Finlandia con la Nuova Zelanda (dove anche qui la premier è una donna) è considerato un esempio da seguire perché è riuscita addirittura a eliminare e non solo a contenere, il coronavirus. Chissà, forse le donne, magari, potevano essere d’aiuto anche in Italia, questo bel paese che non è un paese per donne, ma neanche per ragazzi, bambini e vecchi.