di Rosa Emilia Dias
THIENE (VI). In questi giorni di quarantena la mia testa è come dentro a un vortice di pensieri e di idee. Essere forzati a stare a casa, senza sapere per quanto, non mi costa particolari sacrifici. Anzi. Continuo a leggere, scrivere, cantare e curare la mia casa e la mia mente. Abituata a organizzare la mia vita in base ai progetti musicali, collaborazioni artistiche e contatti virtuali con gli amici lontani, casa mia è sempre stata il mio quartiere generale. Amministrare il mio tempo non fu mai compito di qualcun altro che di me stessa. Ma essere forzata a stare a casa mi ha fatto riflettere sulla sorte del pianeta, sulla mia sorte come persona e di sperare in un mondo migliore. Mi domando dove stavamo andando così di fretta che non ci accorgevamo più che il danno che stavamo facendo al pianeta era il danno che facevamo a noi stessi! Ci siamo abituati a vedere le immagini dello scioglimento dei ghiacciai ai Poli, dell’inquinamento nelle grandi città, della fame in Africa, dell’epidemia in Cina come se non ci riguardassero. Da quanto tempo siamo rimasti indifferenti alla sofferenza altrui? Siamo stati attaccati e svegliati da un virus!
Abituata a pensare al bicchiere mezzo pieno, vedo che nella drammaticità che ci troviamo ora c’è un’opportunità, quella di affrontare finalmente diverse lacune della nostra società e tempo. Fermarsi tutti quanti a casa e, soprattutto, dentro noi stessi, è stato provvidenziale per ripensare a una società più solidale, più ecologica, più legata ai problemi della famiglia e alla produzione dei beni materiali e immateriali. Non ho mai registrato così tanti video musicali dedicati alle associazioni impegnate a combattere l’emergenza del Covid-19, mai contribuito così tanto con la mia musica alle cause di solidarietà come adesso. Ne sono contenta. Il mio bicchiere mezzo vuoto però non mi dà pace in questo periodo. Passato l’entusiasmo, all’inizio della quarantena, quando condividevo le informazioni e i video di un nuovo pianeta possibile, ora penso alla mia sopravvivenza professionale e in particolare a quello che succede con la musica. È arrivato il momento di ampliare il tessuto della rappresentanza sociale in questo settore, attraverso le associazioni e le società di categoria per dare visibilità alle nostre problematiche e finalmente agire uniti. Finora non abbiamo avuto occasione di affrontare la questione del lavoro informale di forma civile e seria, ora è il momento di farlo. Fare emergere il lavoro in nero dalla completa oscurità sono temi comuni che stanno a cuore tanto ai datori di lavori quanto agli artisti. È necessario dare incentivi fiscali alle imprese grandi e piccole che promuovono e producono cultura per poter continuare a svolgere il loro e il nostro lavoro. Bisognerà ridurre il costo del lavoro nella musica e considerare il periodo di intermittenza lavorativa dei musicisti come importante misura da adottare anche in Italia come in Francia. A partire dalla tutela dei nostri diritti d’autore, che viene ogni giorno violato dalle grandi corporazioni e multinazionali, possiamo finalmente sensibilizzare la società sulla nostra esistenza e che più che mai siamo pronti a fare la nostra parte.