PISTOIA. A molti, a tutti, a essere onesti, non è parso vero che a Pistoia, in piazza della Sapienza, a due passi da piazza del Duomo, che per la prima volta dal 1980 non ospiterà il Festival Blues, questo fine settimana appena trascorso, sotto le logge di quella che è stata per decenni la biblioteca della città, si siano potuti alternare, suppur provvisti di mascherina prima e dopo le esibizioni, musicisti intenti a fare la cosa che fanno meglio, che spesso è anche l’unica: suonare. Vi raccontiamo della terza e ultima sera, quella che ha visto Federica Gennai al piano e alla voce, Davide Malito Lenti alla batteria e alle percussioni e Federico Moro al basso elettrico. Tre docenti, ognuno delle proprie specifiche competenze strumentali, che hanno accompagnato la prima sera meteorologicamente estiva sul dorso della musica di prestigio, ma comunque potabile, commestibile, dunque digeribile, senza dover ricorrere a sofismi e appunti cattedrali. Lo hanno fatto spiluccando Steve Wonder, mago vivente ed eterno di una sonorità plastica, elastica; gli Eurythmics prima e dopo lo scioglimento della coppia e la vedovanza musicale di Annie Lennox;
la poesia, verosimilmente infallibile, di Elton John e passando in rassegna una ventina di brani dei quali, quasi tutti, hanno presto riconosciuto il refrain, tanto da autorizzarli a canticchiarli, fortunatamente sottovoce. Lo hanno fatto senza tradire mai il minimo imbarazzo, con una leggerezza strumentale che è stata, contemporaneamente, un viatico naturale per la riacquisizione alla familiarità ritmica e la testimonianza di come tutti e tre fossero in grado di essere catapultati in un qualsiasi altro contesto sonoro senza provare la più pallida incertezza. È successo con i brani targati blues, R&B, con qualche accenno latino americano e pezzi pop ascrivibili alla musica d’autore. Siamo andati a sentirli, in questa tre giorni resa possibile dal Comune di Pistoia in stretta e tacita collaborazione con il Blues’In, oltre che per la gioia di poter assistere a concerti dal vivo come succedeva, regolarmente e abitualmente, fino al febbraio scorso, anche e soprattutto per ascoltare da vicino Federica Gennai, docente infallibile, inappuntabile, che non si fa mai trovare con le mani nella marmellata, profonda stimatrice del rapporto sinergico che intercorre tra la musica, suonata seduta, tra l’altro e il diaframma, un incontro meraviglioso che può trasformarsi in un infido boomerang, un tranello mostruoso se l’interprete non conosce abbastanza se stesso e le proprie possibilità vocali ascrivibile sul pentagramma che necessita solo di traduzione. Non è certo il caso di Federica Gennai, 43enne cinica e impassibile jazzista, prodigio vocale e musicale che ha già fatto incetta di premi e riconoscimenti, che ricorda, meravigliosamente e mostruosamente, la collega Stefania Scarinzi e che riesce, impeccabilmente, a tenersi dentro tutto centellinandolo, con preziosa e meticolosa precisione, ogni sillaba musicale. Potrete anche non crederci, ma a nostro avviso, questa ultima caratteristica, è paraddosalmente un neo, che noi le consigliamo di togliersi, iniziando a sbagliare un po'.