PISTOIA. Nulla succede a caso, probabilmente. Come la disposizione del palco in piazza del Duomo ieri sera, 18 luglio, prima serata di un improvvisato, commovente, meraviglioso Festival Blues formato covid 19, battezzato, alla bisogna, Blues Around, quello che nessuno, nel ricordo/incubo della quarantena, avrebbe potuto lontanamente immaginare. Sì, perché l’unica volta che la piazza del Blues d’Italia ha disposto lì il palcoscenico, anziché davanti al Comune, anche se in formato decisamente più grande, anzi, galattico, sarebbe il caso di apostrofare, è successo il 20 settembre 2006, quando a Pistoia, in un concerto a dir poco memorabile, si esibirono i Pearl Jam. Lo vollero lì, i promoter della formazione grunge di Seattle, perché di quella serata ne fecero un video, altrettanto imponente e nelle immagini di cornice mai e poi mai avrebbero voluto che il palco oscurasse Palazzo di Giano e desse luce e prestigio alla Prefettura e al Monte dei Paschi di Siena. La coincidenza risiede nel fatto che i Bud Spencer Blues Explosion, duo metropolitano di blues/caciara, fiore all’occhiello di questa prima serata di un Festival che ci sarebbe potuto non essere, siano nati proprio nel 2006, l’anno dei Pearl Jam a Pistoia; un omaggio asintomatico, senza dubbio, ma che la dice lunga su come i cerchi, prima o poi, siano destinati a chiudersi.

La serata, torniamo alla realtà, nuda e cruda, è stata come prudenza da contagio impone, ma senza esasperazioni, a onor del vero; una miriade di congiunti, in piazza del Duomo, per fortuna, anche dello stesso sesso, cosa che rallegra particolarmente, soprattutto in un periodo come questo nel quale, outing, lo fanno solo gli artisti. Il primo a venire in scena è stato Meek Hokum, o Michele Bombatomica, se preferite, con il suo banjo e il suo blues rurale, quello che nasce con il ragtime e poi si sviluppa e perfeziona sul Mississipi. Un intro particolarmente gradita e sintonizzante, perché subito dopo, da un backstage a cielo aperto, è stata la volta di Finaz, al secolo, prima di essere uno dei co-fondatori della Bandabardò, Alessandro Finazzo, accompagnato, non sul palco, ma nella vita, tra il pubblico, dalla moglie Raffaella e da loro figlio Jacopo, due tra gli spettatori meno sbadati della piazza, gli unici, forse, ad aver constatato come alla consolle, qualcuno, durante la sua esibizione, non gli abbia consentito di esprimersi al meglio. La stragrande maggioranza, in compenso, non se n’è accorta, per fortuna e il set della chitarra di Volterra è stato salutato dal calore degli applausi dei presenti. Dopo due set intimistici e poetici, il palco si è improvvisamente ingrandito; il suono, più sporco e meno decifrabile, ha decuplicato i decibel e la piazza è stata inondata dal rockblues, terribilmente hendrixiano, di Adriano Viterbini (chitarra e voce) e Cesare Petulicchio (batteria). I Bud Spencer Blues Explosion sono riusciti, in un inflazionatissimo panorama musicale, a ritagliarsi un loro angolo, seppur figlio di innumerevoli e inevitabili contaminazioni, onestamente genuino. L’energia che scatenano merita plausi e attenzioni, anche se, per non fare gli scendiletto come non siamo mai riusciti a essere e che confermiamo anche in questo pericolosissimo periodo di rinascita buonista, farebbero meglio a cantare in inglese; le parole sarebbero comunque risucchiate dal frastuono dei consollisti, ma nessuno si lamenterebbe di non aver capito. La rassegna di questo asintomatico Festival Blues prosegue con i prossimi appuntamenti: giovedì 30 luglio Eugenio in via di gioia, il giorno dopo uno dei migliori bluesman europei, Alex Britti, che precede, a sua volta, il trio acustico dei Negrita, il 1° agosto. Chiuderà la rassegna, il 6 agosto, Raphael Gualazzi. No, non ci siamo scordati del concerto in programma domenica prossima, 26 luglio; lo abbiamo solo tenuto per ultimo, perché Edoardo Bennato merita, anche da noi che lo abbiamo sempre omaggiato, anche nella discutibile parentesi di Joe Sarnataro e i Blue Stuff, qualche parola spesa in più, come presentazione: giovedì prossimo, compie 74 anni e dopo cinquant’anni di rockpartenopeo, ci sentiamo in piacevolissimo dovere di ringraziarlo. Come la Tafuro dinasty e il loro, nostro, Festival.

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