PISTOIA. Anche solo ad accennarle tutte, le hit che lo hanno reso semplicemente inconfondibile e trascinato sulla cresta incorruttibile della musica degli ultimi cinquant’anni, gli ci sarebbe voluta un’altra ora di concerto. Ma a settantaquattro anni compiuti tre giorni prima, Edoardo Bennato, icona sempiterna del rockblues dell’Italsider, ha preferito lasciare tutto il pubblico di piazza del Duomo di Pistoia con l’amaro in bocca, fermandosi, senza alcuna possibilità di deroga, sulla porta dignitosissima delle due ore di esibizione. Senza intonare Un giorno credi, senza sillabare L’isola che non c’è, senza scandire il riff di Capitan uncino, senza fare il minimo accenno di Venderò, senza solfeggiare La mia città, canzoni queste che, insieme a molte altre praticamente leggendarie e con le quali un’intera generazione, la nostra, è cresciuta sognando, il concerto pistoiese di ieri, 26 luglio, seconda tappa del Festival Blues versione asintomatica, versione Blues Around, si sarebbe, molto probabilmente, trasformato in un evento epocale. Il tiro, la voce, l’energia, compresa quella velata mania di protagonismo profetico che assale i menestrelli divenuti famosissimi (perdonandogli persino lapsus – reazionario, anziché rivoluzionario - che in altre circostanze sarebbero valsi un generale spernacchiamento) sono state quelle di sempre;
il nonno di Bagnoli, dopo aver fatto un patto non si sa con quale diavolo che lo mantiene in una forma strepitosa, è perfettamente consapevole che il suo successo vada sistematicamente alimentato con quel sound che non lo fa tramontare. E allora, alla sua destra e alla sua sinistra, i suoi angeli protettori, le guide spirituali, la vena blues e l’arteria rock: Gennaro Porcelli e Giuseppe Scarpato, con il resto della formazione (Arduino e Raffaele Lopez al basso e al piano e Roberto Perrone alla batteria) a garantire un groove che si autoalimenta con impressionante semplicità. I concerti dei cantautori più fedeli alla poetica sulla quale hanno costruito il proprio successo non sono mai (e mai lo saranno) una semplice carrellata strumentale; prima di ogni brano c’è sempre una piccola intro che lo confeziona e lo contestualizza e lo riporta, integro, fino all’esibizione. E anche Edoardo Bennato, ieri, non si è giustamente sottratto a questa regola, non scritta, ma tacita e incontrovertibile e prima di ogni singola esibizione ha spolverato e ricordato i motivi che lo indussero a comporla. Con la novità del libro, Girogirotondo, uscito proprio in questi giorni, appartenente, anche questa, a uno degli inevitabili risvolti cantuatoriali. Il concerto, comunque (è quello di cui vogliamo parlarvi), è stato di grande e tutto rispetto, soprattutto in considerazione dell’età del menestrello della periferia siderurgica di Napoli, accompagnato da una band (che lo segue ormai da tempo memorabile) che lo asseconda con impeccabile professionalità. Continuiamo a non capacitarci come Edoardo Bennato si sia voluto sottrarre all’onda emotiva che lo avrebbe sicuramente investito se, dieci minuti prima dell’epilogo naturale della rappresentazione, avesse imboccato la galleria del vento dei ricordi e inanellato, anche senza snocciolarli proprio tutti e uno per uno, i suoi insindacabili successi, quelli che, dal 1973 (Non farti cadere le braccia), lo mantengono in vita e lo hanno da sempre eletto come uno dei rappresentanti più fulgidi dell’anima rockblues della canzone italiana, sostenuta con coraggio musicale, spartano campanilismo e grande coerenza: sul palco con la t-shirt Campi Flegrei e una band, di nobilissimo livello, tutta napoletana. D’accordo, il pubblico, che sembra aver immagazzinato alla perfezione le regole sul previdente distanziamento, oltretutto supportato dalle mascherine, avrebbe certamente gradito, noi compresi, qualche gemma dei suoi trascorsi discografici. Sarà per un’altra volta, dove saremo liberi di ballare abbracciandoci. Certo, chissà quando, ma lui ci sarà, nell'augurio che nell'occasione voglia confermare la propria riverenza alla piazza più blues d'Italia, quella del Duomo, senza antichi e discutibili stratagemmi (Joe Sarnataro), forse l'unica pecca di una carriera da incorniciare.