PISTOIA. Prima di venirci a suonare, a Pistoia, Alex Britti ci veniva spesso. Di luglio. Veniva a sentire e vedere i Festival Blues, anzi, i Blues’In, per essere onesti e tassonomici, quando il complemento di specificazione musicale, più che un marchio funzionale, era un rigore sonoro obbligatorio. A noi, il giovanotto di Monteverde, che il prossimo 23 agosto compirà 52 anni, è sempre piaciuto; parecchio. La prima affezione è puramente campanilistica: ci conoscemmo a Roma, dove siamo cresciuti entrambi, al Big Mama, a Trastevere (lui non se lo ricorda; potremmo anche barare, sul dettaglio, ma è vero), a sentire un concerto dell’indimenticato Roberto Ciotti, con un amico comune alla batteria, Piero Fortezza. La seconda è di natura morale e umorale; ha sempre vissuto nelle righe, cosa che trapela anche dai testi delle sue canzoni, spalmate su nove registrazioni e soprattutto durante le sue esibizioni: preferisce evitare enfasi, protagonismo e cliché e che sia un genuino e un autentico ce lo hanno confermato anche i musicisti che gli gravitano attorno, come i cinque di ieri sera, 31 luglio, con i quali ha animato la quarta serata di questo Festival postvirus, denominato, Blues Around: le due giovani vocaliste, la marchigiana Cassandra De Rosa (che dimostra meno delle primavere trascorse, a onor del vero) e la senegalese Ouumy Ndiaye (lei giovanissima davvero, 26 anni appena) e tre strumentisti, come Matteo Pezzolet al basso, il giovanissimo Benjamin Ventura alle tastiere e Davide Savarese alla batteria, al quale ha concesso un interminabile assolo meravigliosamente gestito poco prima dei saluti.
Una complicità che nasce, si alimenta e fortifica giù dal palco e che sopra, durante i concerti, diventa esplosiva, determinante, vitale. La terza, che citiamo da ultimo per rafforzare il concetto, è che Alex Britti, uno dei migliori chitarristi blues in circolazione europea (citazione che ci permettiamo di fare quando imbraccia Frankenstein, la sua puzzleguitar), non si è fatto prendere la mano dalle illusioni, dalle manie di protagonismo e dal divismo: scrive testi di vita quotidiani, senza avvenirismi difficilmente riscontrabili o tragedie epocali e li canta con un forza vocale che non teme le sue scorribande acustiche; in ogni brano, che parla di amori condominiali, di ultimi partiti ultimi e restati tali e di vicissitudini condivisibili anche da chi non ha avuto la fortuna di vivere sotto i riflettori, non si sottrae mai dalla voglia, pienamente esaudibile, di dare, ai propri testi, quel mood che ne esalta, contemporaneamente, le umili e dichiarate doti pop e la profonda conoscenza del blues, del jazz e del rock. Dalla canzone intro, che ha preceduto buona parte della sua vetrina discografica, intrattenendo il pubblico per oltre due ore, Alex Britti ha sùbito lasciato intendere quali siano i suoi astri di riferimento: Carlos Santana su tutti, ma con un po’ di meticolosa attenzione, anche Robben Ford e Jeff Beck. E poi non si nasconde; racconta di aver capito che occorresse scrivere qualcosa di commestibile per iniziare a fare cassa, passando da ogni pertugio che ne amplificasse la notorietà per poi arrivare a un punto, di non ritorno, ci auguriamo e gli auguriamo, nel quale ha iniziato a prendersi la licenza di non aver più bisogno dei dischi di platino, per sentirsi vivo e per pagare, con la giusta disinvoltura, bollette, rate e mutui. Ha scelto la strada della musica colta/orecchiabile, non ha smesso di raccontare, con trasporto quasi testamentario, storie di ordinaria quotidianità e soprattutto ha continuato a nutrire un grande rispetto per la vita e il mondo che hanno continuato imperterriti, virus permettendo, a girargli intorno. Un abile artigiano che non disdegna di sfruttare le occasioni del terzo millennio senza perdere di vista la creatività puramente interiore, tanto per i testi quanto per la musica. E poi, anche se potrebbe essere visto come uno spot studiato a tavolino, ha preferito snocciolare, dopo Oggi sono io, autentico capolavoro portato nella stratosfera dalla voce di Mina, quei brani con i quali, da oltre venti anni, è entrato, prima che nelle classifiche di vendita, anche e soprattutto nel cuore di molti spettatori, come quelli che anche ieri, a Pistoia, disciplinati oltre ogni ragionevole dubbio, ne hanno seguito e applaudito la performance. Lo ha fatto senza aspettare che il pubblico ne rivendicasse l’interpretazione al suono del fatidico bis, pantomima della quale, più che abituati, ci siamo maldestramente intossicati.