PISTOIA. Non le manca nulla. A iniziare dalla voce. Per non parlare dei centimetri (178, con anfibi) e quella faccia sconsacrata, dissacrante, che non vuol e non ha la minima intenzione di voler ferire nessuno. Beatrice Chiara Funari, Bpuntato nell’era degli pseudonimi che devono bucare la curiosità, è una romana come ce ne sono a migliaia, disperse sotto le gallerie delle metropolitane dell’Urbe, anche se a Valmelaina, zona Talenti, dove è nata, la metro è arrivata dopo. La metro, però, perché tutto il resto, che è quello che conta per diventare una chansonnier dei tempi (incerti) nostri, in quella valle incastonata tra Podere Rosa e il West, c’è sempre stato, e in abbondanza e lei, che per diventare una paladina del malessere giovanile protetto da famiglie che ancora badano ai propri pargoli è addirittura passata dal Conservatorio, ha deciso di cantarlo. Lo fa con dedizione, serietà, abnegazione, ma senza illudersi; se qualche pertugio della stanza dei bottoni del terzo millennio, che nei secoli precedenti si apriva solo mostrando affidabilissimi attestati di competenza, dovesse spalancarsi, lei è pronta a entrare: senza autoreggenti, senza moine, senza promesse e lusinghe.

Con le sue con canzoni, maledettamente orecchiabili, tanto che sembrano già sentite, oltre che deja vu, anche se oblique e soprattutto con quella faccia un po’ così, che si addice al giunco che la sostiene. Ieri sera, 13 agosto, si è esibita a Pistoia, davanti la chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, puntualmente chiusa, in barba a turisti sbigottiti e increduli, ma non con la formazione con la quale ha inciso il primo lavoro di registrazione (Maltempo), uscito, come presagio, agli inizi di marzo, un attimo prima che ci consigliassero/ordinassero di chiuderci nelle nostre abitazioni. Si è presentata in compagnia del solo Valerio Erbert, che ha fatto le veci, senza alcun patema, al resto della band che per svariati ed eterogenei motivi è dovuta restare altrove. Un’ora, poco più, di alcuni dei motivi contenuti nel suo album battesimale, qualche rilettura di brano sempre datati della sua generazione e qualche battuta con il pubblico, numericamente modesto (con la Mery e Martina, comunque, sembravano molti di più gli spettatori), in verità, ma comunque attizzato dal mood de ‘sta secca alla quale, ribadiamo, non manca proprio nulla per salire sul carrozzone degli artisti di una specifica generazione: la sua. Simpatica, scialla, iniettata da quel velato nichilismo sofferto da chi, abitualmente, ha fortunatamente ben poco da soffrire, Beatrice Chiara Funari si è districata con apprezzabile disinvoltura tra la gente distratta in cerca di negozi aperti nelle vie del centro di Pistoia; per lei, abituata alla caciara, sguaiata e aggressiva, della sua (nostra) città, interfacciarsi con il pudore, spesso ipocrita, della provincia, sarà parso davvero un gioco, che le servirà comunque, ne siamo certi. Visto che saremmo felici di proiettarla in un futuro prossimo almeno da Festival Bar, le consigliamo, a distanza, di sopprimere quell’insopportabile intercalare, RAGA, anche se potrebbe sempre difendersi dicendoci di averlo imparato da Pau, uno dei suoi papà.

 

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