QUARRATA (PT). Difficile immaginarlo diversamente. Anche se, con tutta onestà, potrebbe stare nell’olimpo del cantautorato, al fianco degli altri che popolano il firmamento. E forse, un giorno, ci sarà, ma perché non sia soltanto la sua Livorno, la sua Bella Livorno, a celebrarlo, dovrà andarsene. Per sempre. È già successo a tanti talenti irriverenti nel corso dei secoli, tra i quali anche un suo illustre collega conterraneo predecessore, Piero Ciampi; così potrebbe succedere anche a Bobo (Roberto) Rondelli, ma non sappiamo se sia il caso di augurarglielo; potrebbe non gradire. Fino a quando c'è’ però, ce lo teniamo, e pure stretto stretto, perché quando intona la poesia a Nara F. pensiamo alle nostre, di madri, che per fortuna somigliano maledettamente la sua e piangiamo, forte, perché se ne sono andate troppo presto e noi, eredi irriconoscenti, siamo rimasti in debito, un debito che non salderemo mai. È andata così anche ieri sera, 28 agosto, a Quarrata, in uno degli appuntamenti del Settembre Quarratino, che ha la fortuna di poter sfruttare, per tali circostanze live anche in tempi di rischiocontagio, La Magia, patrimonio dell’Unesco.
Sul palco, ad assecondare sberleffi, dolore, ingiurie, cattiverie, tutte al limite della tristezza e della denuncia, che ci teniamo, come tutto il resto, strette strette, Claudio Laucci alle tastiere, musicista/psicologo, professionalmente inappuntabile, moralmente encomiabile. Nel mezzo, la solita carrellata apocrifa, blasfema, agnostica, un elastico impazzito tra ghigni e poesie, accuse e scuse, soavi volgarità e dubbi esistenziali, indignazioni politiche equamente ripartite tra avversari impresentabili e falsi amici, intellettuali debosciati sul libro paga della pace dei ricchi, colleghi guru di cui nutre un apprezzabile disprezzo e mostri sacri (Fabrizio De André) al quale dedica, puntualmente, una delle sue ballate più strazianti, passando dalle Baracchine bianche per arrivare, sul lungomare, fino a Quercianella, ma anche, proseguendo, spingendosi fino a Castagneto Carducci, nella Villa della Gherardesca, il luogo natio e di servitù di Nara F. catapultato alla notorietà dopo la visita di Mick Jagger, al quale non ha risparmiato una dissacrante imitazione. Tutto metabolizzato e reso eterno dalla sola, unica, grande certezza: la fica, descritta nelle sue forme più eteree e triviali, con tutta la passione e l’amore di chi ne ha viste tante. Bobo Rondelli è sempre più quel fuoriclasse che detesta le regole, gli schemi, gli allenamenti, possessore unico di numeri unici che però non sono contestualizzabili e utilizzabili in alcun gruppo di lavoro. Un’elegantissima foca da circo, un clown timido, un saltimbanco alcolizzato, un equilibrista che soffre di vertigini, un cantore afono, un compagno di sbronze con il quale tutti ricordano d’aver trascorso una serata indimenticabile, che è meglio non ripetere, però. E chi ci dice che non sia una mossa studiata, un abito cucito su misura, una posa di irriverente fascino? Non è infatti da escludere che se potesse, Bobo, il film della sua vita lo riavvolgerebbe volentieri e dopo l’esperienza adolescenziale con Les Bijoux, prima, e Ottavo Padiglione dopo, intraprendere il viaggio d’andata, senza ritorno, per partire, dalla sua Livorno, la sua Bella Livorno, verso chissà dove, a fare incetta di premi, riconoscimenti, fama e soldi, tanti soldi, con i quali avrebbe pagato, senza problemi, gli assegni di mantenimento all’ex consorte. Invece è rimasto lì, al Pontino, chiamato talvolta da amici musicisti (Stefano Bollani), amci registi (Paolo Virzì), amici attori (Filippo Timi) a impreziosire i loro progetti, ma a patto, che dopo, sarebbe tornato alla sua abitazione; e chi ci dice che sia una disgrazia?