PISTOIA. La potenza dell’arte, in generale, la si percepisce sempre. Inequivocabilmente, alle ricorrenze, come ieri sera, 12 settembre, per festeggiare, con un anno di anticipo, il centenario della nascita di Piero Piccioni. Lo ha deciso Maurizio Tuci (assente ingiustificato e ingiustificabile: devi tornare tra noi, cazzo), l’anima del Serravalle Jazz, manifestazione che per ovvi motivi di sicurezza immunitaria è stata trasferita, in quest’estate che ci auguriamo di transito, alla Fortezza Santa Barbara, a Pistoia, sito ideale per l’Atp per organizzare questa interessante rassegna live Spazi Aperti. E se il festeggiato è Piero Piccioni, va da sé che si parli di musica (jazz) e cinema (commedia all’italiana) e se si mastica jazz, va da sé che uno dei direttori d’orchestra, nei paraggi, non può che essere Antonino Siringo, 42enne siracusano, pianista, compositore, improvvisatore, direttore, istruttore, anima completa dei propri studi e dei suoi insegnamenti, impartiti, regolarmente, dal 2017 alla scuola di Fiesole. E con lui, Paolo Zampini al flauto, Guido Zorn al contrabbasso, Andrea Melani alla batteria e, naturalmente, Valentina Piccioni alla voce, la figlia, che tra un tributo musicale e il successivo dedicato al padre ha raccontato, con quella potenza di cui accennavamo all’inizio, la bellezza dei bagagli che solo l’arte riesce a tramandare con il sorriso e la piena e perfetta consapevolezza di non poter e dover dimenticare.
Serata perfetta, che sarebbe stata sublime se il pubblico, numeroso, avesse potuto seguire il concerto attorno a dei tavolini sorseggiando rum e aspirando sigari cubani (alla Fortezza, vietato bere, a meno che lo spettatore non se lo proti da casa e fumare: non abbiamo capito perché). In fondo, lontano dai primi cerchi dei riflessi delle luci del palco, l’avvocato Lorenzo Doni e sua moglie, Irene Grandi (praticamente la stessa di 31 anni fa, quando l’abbiamo conosciuta, nel 1989, voce dei Goppions al Val d’Elsa rock and co.) entrata a far parte della famiglia Piccioni, come ha detto Valentina. Serata gradevolissima, ribadiamo, soprattutto in virtù di alcune tappe cinematografiche vissute grazie all’interpretazione musicale di alcune colonne sonore (da Trovajoli a Morricone) che sono state, insieme alle pellicole musicate, la fedelissima fotografia dell’Italia nel secondo dopoguerra, dittatorialmente personificata nell’espressione, praticamente inimitabile, di Alberto Sordi. Serata gradevolissima, sottolineiamo, grazie soprattutto alla potente poesia al piano di Antonino Siringo, che anche dopo l’innaturale, ma inevitabile, astinenza da concerti, ha ripreso il proprio rapporto con la musica, se stesso e il pubblico esattamente da dove l’aveva interrotto. Anche ieri sera, infatti, nonostante il motivo culturale e musicale dell’esibizione non contemplasse incomprensibili e difficilmente giustificabili euforie sonore, improbabili perlustrazioni ritmiche e una carica adrenalinica di improvvisazioni acustiche, il Professore siculo di Fiesole non ha saputo resistere a immergersi, anima e corpo, sulla propria tastiera, duettando confidenzialmente, al limite della religiosità, come lo abbiamo già visto fare in altre sontuose rappresentazioni, tornando a essere, anziché una farfalla libera di esprimersi, il suo bozzolo originario, inarcandosi, fino a scomparire, dentro la sua musica, ricercandola disperatamente. E trovandola, puntualmente.