PISTOIA. Il fatto che a noi non facciano impazzire vuol dire poco. Anzi: nulla. Altrimenti, restare sulla cresta dell’onda, dell’onda del rock alternativo (a parer nostro, un po’ troppo alternativo) per oltre trent’anni e, in tempi di flebili riprese post quarantena, fare il tutto esaurito alla Fortezza Santa Barbara, a Pistoia, scampolo di un Festival Blues, ai tempi del Covid, Blues Around, che meglio non si sarebbe potuto nemmeno immaginare, beh, qualcosa di molto efficace devono averlo fatto. Il pubblico, infatti, oltre che rispondere massiccio alla chiamata al concerto dei Marlene Kuntz, ha accompagnato tutte le canzoni in scaletta interpretate dall’autorevole voce di Cristiano Godano, bandleader, oltre che pioniere, con il batterista Luca Bergia, della formazione cuneese. Già, le canzoni. Bisogna conoscerle prima di ascoltarle, altrimenti, non solo noi, schizzinosi e pruriginosi critici, ma anche altre persone accorse con la voglia di riprendere i contatti con le manifestazioni dal vivo, non siamo in grado di decifrarle e dunque, eventualmente, apprezzarle.
Perché se un gruppo che fa del rumore sposato alla forma canzone con indispensabili venature cantautoriali non riesce a farsi ascoltare, beh, permetteteci di sollevar, almeno timidamente, un’obiezione. E qui ci fermiamo, qui si ferma la nostra dissidenza, alla quale potremmo anche aggiungere, noi che ci spappoliamo la testa con il funk e la world music, un modestissimo appunto sonoro, e inizia la radiografia del concerto, neutra, asintomatica, oggettiva. E prima di tessere le lodi alla formazione (Cristiano Godano, chitarra e voce; Riccardo Tesio, chitarra; Luca Bergia, batteria; Luca Lagash Saporiti al basso e il polistrumentista Davide Arneodo) ci preme, ancora una volta, rinnovare la gratitudine alla direzione artistica del Blues’In che in un mondo cosmico di eventi live, tutto, ma proprio tutto, è stato rinviato, nella migliore delle ipotesi, al prossimo anno, loro, la Tafuro dinasty, sono riusciti a inanellare una serie di concerti di assoluto livello (alcuni ci sono piaciuti molto; altri, meno), riuscendo in questo modo a mantenere in corda, non solo musicale, la vita della manifestazione e quella di una sparuta minoranza indigena pistoiese che, nonostante tutto, continua, imperterrita, a cercare di tenere botta al resto della popolazione che invece non cessa di dissentire e latitare nella maniera più sconsiderata e nichilista che si possa cinicamente immaginare. Il cupismo sonoro dell’intera formazione – siamo tornati sul palco con i Marlene Kuntz, ora -, che si adegua perfettamente ed esemplarmente alle tonalità del diaframma della voce del gruppo, sono, quasi certamente, la cosa di maggior livello e prestigio della band piemontese, che, a onor del vero, non ha mai abbandonato, né tradito, le sonorità degli esordi, quelli che le consentirono di attestarsi, da subito, nel gotha del rock italiano, seppur sotto la definizione di origine controllata poco, a nostro avviso non certo esaltante, del post grunge e del noise rock. Una storia, però, costellata da diciotto album e quattro EP (da Catartica a Lunga attesa) e che merita, oltre al calore dei numerosi riconoscenti appassionati, anche la nostra attenzione.