QUANTE SONO le anime di Nick Becattini. Una probabilmente, forse nessuna o come Luigi Pirandello ci ha imposto da oltre un secolo, centomila. E si somigliano tutte, tra l’altro. Perché affondano le loro radici nella musica, quella beata, maledetta compagna della sua esistenza, senza la quale sarebbe stato altro, chissà, o forse nulla. Noi ce lo teniamo così, stretto stretto, come uno dei migliori chitarristi blues in circolazione, con un trascorso di quarant’anni nei quali ha circumnavigato i palcoscenici del mondo, portando, su ognuno di questi, gli animali feroci che gli divorano l’anima e che gli impongono, più che suggerire, di non potersi arrendere. E dire che stiamo parlando di un Cd, del suo nuovo Cd, Lifetime Blues, che ha visto la luce in questi giorni, dodici tracce tra insostituibili riferimenti e omaggi ad alcuni dei suoi maestri e ha ulteriormente esaltato la sua pasta musicale, un manuale prezioso di come si suona e si canta, di come si suona e si canta il blues. Per questa nuova esperienza musicale, ma anche e soprattutto esistenziale, emotiva, Nick ha chiamato a raccolta alcuni dei suoi tanti, tantissimi colleghi/amici, quelli con i quali ha diviso e condiviso sogni, aspirazioni, studi, viaggi, partenze e ritorni, successi, applausi e delusioni, conquiste e rinunce.
C’è Enrico Cecconi alla batteria, Keky Andrei all’organo hammond, Anacleto Orlandi al basso elettrico e tre ospiti più che graditi: Mimmo Mollica all’armonica e due vocaliste, Donatella Pellegrini (nickette di lungo corso) e Elisa Ghilardi, ospiti, tutti, nello studio di registrazione di Viareggio House of Glass, da quel mago di Gianni Bini, che in poco meno di nulla ha messo in piedi tutto il lavoro. Tutta la vita, insomma, tutta la sua vita, che ha un marchio indelebile, un groove inconfondibile, un dolore che accomuna l’umanità, quel male di vivere che ognuno di noi incontra, ma che solo a pochi consente di parlare. E lui, con la sua chitarra e con quel diaframma geneticamente e inesorabilmente invecchiato, ma ancor più pastoso, che non si tira indietro, ma che uncina la vita e le racconta cosa succeda dalle sue parti. Una registrazione pensata e metabolizzata per due lunghi lustri e che improvvisamente, proprio nel momento meno opportuno, o forse proprio per questo, per l’urgenza di esistere, per il destino di vivere, per il valore del tempo, quello imprevedibile della quarantena cosmica, ha sentito l’urgenza di esplodere, uscire, raccontarsi. Non ha senso, perché non serve proprio a nulla, che ci si prodighi nella disamina delle dodici tracce raccontandovi a cosa si ispirino e che percorso abbiano seguito. Equivarrebbe a chiederlo all’autore, che vi risponderebbe sgranando gli occhi e osservandovi perplessi. Vi raccontiamo, nell’augurio che vi faccia piacere e a noi molto, se ascoltandolo doveste avere la nostra stessa impressione, che abbiamo avuto l’impressione, in più di un’occasione, che si trattasse di inediti di Carlos Santana. E non abbiamo nemmeno chiesto a Nick, al quale siamo legati da tempo da profonda complicità, spesso anche conflittuale, per fortuna, se quello che abbiamo avvertito corrisponda, o meno, a verità. Di questa registrazione custodiremo gelosamente l’ennesima maturazione dell’autore, la sua naturale confidenza con il Blues (la maiuscola non è un refuso), la sua consacrazione nell’olimpo delle sei corde di quella musica che ormai in molti, decisamente troppi, continuano a decretare morta e sepolta. Come ci porteremo in dote, in un mondo dove la cosa più preziosa è il tempo, alcuni racconti della vita di Nick, quelli raccolti in questa Timelife Blues, come meglio non avrebbe potuto fare, suonandoli, casomai attorno a un camino, con dei calici di rosso, in compagnia dei suoi e dei nostri amici.