FUCECCHIO (FI). Ci sono canzoni che bucano più di altre, senza un apparente specifico motivo. Quanno chiove di Pino Daniele non è migliore o più profonda di altre scritte dall’indimenticabile bluesman napoletano, ma è quella che arriva più lontano. Così come L’anno che verrà di Lucio Dalla, L’avvelenata, di Francesco Guccini, ma succede anche con Rimmel, di Francesco De Gregori, La canzone di Marinella di Fabrizio De André, Non è nel cuore, di Eugenio Finardi e via via tutti i motivi nei quali, con ingiustificata approssimazione, si finiscono per ricordare ed elevare a olimpo i loro padri. Anche con Bobo Rondelli, ieri sera al Parco Corsini di Fucecchio a presentare, anche, il suo ultimo album, Cuore libero, succede quello che capita con tutti i suoi colleghi e con il cantautore livornese, l’emozione collettiva, popolare, nostalgica, puramente amaranto, arriva con Madame Sitrì, che tutti sanno perfettamente a memoria e che tutti cantano con encomiabile trasporto, così come è successo ieri, a Fucecchio e avviene, sistematicamente, ovunque Bobo e il suo insperabile compagno di palcoscenico Claudio Laucci si esibiscano. Per noi, che non soffriamo, orgogliosamente di panurghismo, quella magia identificativa si accende con Nara F., che l’autore, invece, smercia come se si trattasse dell’ennesima irriconoscenza riservata a sua madre.

Più passa il tempo e più lo vediamo esibirsi e più ci convinciamo del fatto che Rondelli detesti la propria fragilità, riconoscendosi e desiderando farsi riconoscere solo e soltanto per la sua strafottenza, menefreghismo, quella gigioneria gratuita, scurrile e blasfema che condividiamo e nella quale ci riconosciamo tutti, ma che non vorremmo fosse il suo marchio di fabbrica. Industria polivalente, utile ricordare, per una voce (sempre più da centellinare, soprattutto in relazione a una vita tutto fuorché morigerata) caldissima, una presenza scenica invidiabile e un notevole camaleontismo, che si coniugano perfettamente con la duttilità timbrica e del diaframma, senza dimenticare un perfetto e invidiato clownismo. Anche ieri sera, la serata, ha offerto quasi tutto il repertorio; quasi tutto, perché, ad esempio, è mancata l’imitazione di Mick Jagger, che avremmo scommesso facesse parte del palinsesto, soprattutto in considerazione del fatto che il frontman dei Rolling Stones sia stato multato, proprio in questi giorni, di 11 mila sterline per aver violato la quarantena ed essere andato allo stadio a vedere Inghilterra-Danimarca, semifinale degli Europei di calcio. Rondelli non ama il calcio e anche questo, con vari e spericolati benefici di inventario, è un punto a suo favore. Così come lo sono l’avversione totale alla guerra e al fascismo, all’intollerabile, ma per troppo tempo tollerato e protetto, vizio conclamato del clero, alla dilagante dabbenaggine che spopola tra i giovani, questioni che il 58enne cantautore livornese ha sviscerato come suo solito, fondendo e confondendo, come suo solito, l’amore sacro e l’amor profano. A proposito di De André, anche ieri, il concerto, durante il quale ha omaggiato l’istrionismo scenografico e la purezza interiore dello scomparso Carlo Monni, ma anche quella di Andrea Cambi, dimenticato con immotivata velocità, ha chiuso i battenti sulle note della Canzone dell’amore perduto, un brano senza tempo alcuno, soprattutto per uno come lui, che ha il Cuore libero e che speriamo non se lo lasci comprare da nessuno.

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