di Letizia Lupino
PISTOIA. Bello, bello, bello! Questo uno dei tanti commenti intercettati al concerto in piazza del Duomo al Pistoia Blues; un’edizione strana quanto agognata. Storytellers-Suoni d’autore presenta Ghemon, E vissero feriti e contenti tour. Ore 21:00, il cielo è ancora chiaro, il sole lo intuiamo da lontano e il vento è carico di promesse, promesse di finali; Wembley, Wimbledon; curioso gioco di consonanze. Piazza del Duomo è transennata, le sedie perfettamente allineate, il palco pronto e affamato. Una musica sottile ci accompagna nell’attesa; chi arriva, chi si sistema, chi si disseta, chi parla velocemente al telefono, chi si alza frenetico, incapace di attendere ancora. La voglia c’è, si sente, si vede. Piccoli capannelli delle forze dell’ordine sistemati a ogni via di accesso sembrano, forse, un po’ sonnacchiosi, vagamente preoccupati, la piazza non è gremita, ma la finale dell’Europeo in atto.
Ore 21:20, le ombre sono scomparse insieme al sole, è buio, un buio dolce però, la musica si allenta per prepararci; un fruscio che si perde ci apre le porte dello spettacolo. La formazione entra in scena silenziosamente, Fabio Brignone al basso, Vincenzo Guerra alla batteria, Giuseppe Seccia alle tastiere, Filippo Cattaneo Ponzani alla chitarra e poi le coriste, Ilaria Cingari e Sabrina Fiorella, attraversano il palco trasversalmente salutando, dandoci il benvenuto e il pubblico ricambia, caldo.
Gli strumenti vibrano, la loro voce si alza, un ingresso musicale per colui che tutti stanno aspettando: Ghemon. È vestito di bianco, una luce, una curva direttrice, la direzione predominante di tutti gli sguardi del pubblico. Si sistema al centro e inizia quello che sarà un viaggio trascinante di un’ora e mezzo che catalizzerà tutti dentro un sound potente e penetrante. Un poeta che senza timidezza, grazie alla sua intensa vocalità, ci farà correre dentro un caleidoscopio di emozioni e suoni, un arcobaleno, come dirà lui stesso. Si fa avanti con la sua creatura, E vissero feriti e contenti, l’album che ha visto la luce proprio durante le misure di confinamento e ce lo presenta in tutta la sua trasformabilità. Quello che è imbarazzantemente chiaro, anche per un orecchio poco allenato, è che Ghemon non è un semplice turista della musica, che guarda, passa e va, ma è un abitante di ogni stile toccato, dall’R&B al Soul, al Reggae, alla musica elettronica; è colui che intensamente si rapporta a ogni piega di una qualsiasi mappa musicale. E quello che crea è magia. Ghemon è gradi 360 e la band lo sa, lo supporta, lo fa volteggiare. Si intrecciano saldamente e volano. Ghemon e la band, la band e Ghemon, un passo più avanti avremmo voluto per la batteria, ma comunque, testa d’ariete. Alla fine, quello che resta, è un viaggio fatto senza muoversi e a ognuno il proprio spazio tempo-fisico per goderselo; ci sentiamo, dunque, dei privilegiati, una piazza che non affolla ma gode in un respiro ampio che solo chi era lì ha avuto la fortuna di vivere.