PISTOIA. Il profumo, nonostante più d’uno spettatore indossi il piumino, è quello che arriva da piazza del Duomo, in piena estate, di luglio, ogni anno dal 1980. Invece, è settembre inoltrato e nonostante si sia sempre a Pistoia e il cartellone reciti Festival Blues - da allora sono passati quarantuno anni (organizzatori e spettatori sono sempre gli stessi, decisamente invecchiati) - siamo alla Fortezza Santa Barbara. Ma il suono della chitarra di Kirk Fletcher, che del bluesman a origine controllata ha tutto, dalla mole al cromatismo epidermico, dal profilo del viso alla goffaggine dei movimenti, eccezion fatta che per le calzature (mocassini comodi e leggerissimi, che si addicono a un imprenditore in vacanza a Porto Cervo), catapulta tutti indietro nel tempo, almeno di una quarantina d’anni e l’impressione è che qualcuno dei mostri sacri della stagione più fertile del Blues ormai scomparsi abbia deciso di risorgere e reincarnarsi. Certo, quando si decide di fare quel blues, senza riletture, aggiornamenti, infiltrazioni, il sound e le emozioni non possono che far tornare alla memoria e alle trombe di Eustachio suoni già ascoltati e che il tempo ha reso inconfondibili. Invece, ci si può ancora confondere, anche perché, la band con la quale il 46enne americano è sbarcato a Pistoia, vanta Levent Ozdemir alla batteria, Erkan Ozdemir al basso e un italiano/internazionale, quel talento puro, genuino, stratosferico di Michele Papadia al piano e all’Hammond, uno strumentista che può suonare ovunque e con chiunque e risultare, sempre, indispensabile.

Novanta minuti di blues purissimo, ineccepibile, come detto già sentito molte altre volte, sempre a poche centinaia di metri da dove eravamo ieri sera, ma del quale non siamo ancora sazi e mai, senza timore di essere contraddetti, lo saremo. Un set piacevolissimo, applaudito e consacrato dagli spettatori della serata, che, nonostante fosse a ingresso gratuito, seppur vincolato da tessera verde al seguito (ce ne dovremmo presto fare una ragione di questo lasciapassare sanitario), hanno risposto con ingiustificata avarizia, soprattutto per quel che riguarda il pubblico indigeno. Che non ha nemmeno omaggiato lo sforzo dell'organizzazione, che dopo gli eterogenei appuntamenti estivi in piazza del Duomo, ha voluto regalare al pubblico ancora un pregiato assaggio sonoro, di Blues, stavolta, onde evitare che i puristi, puntualmente assenti, glielo rinfaccino. 

Ma non solo, perché prima, nell’ora che ha preceduto l’esibizione di Kirk Fletcher, sul palco della Fortezza una delle cose nuove da tenere in gradita e debita considerazione: Eliana Cargnelutti. Vero, il cognome suggerisce una di quelle ditte del florido terziario friulano, dove dall’uva bianca se ne tira fuori un vino amabile, ma quando indossa il corpettino attillato, imbraccia la chitarra e si mette a svisare, controllando accuratamente che lo smalto rosso sulle unghie sia uniformemente spalmato, la giovane (poco più che trentenne) gradita realtà udinese mette tutti sull’attenti, obbligando a ricredersi e mettere in conto che con quel cognome, oltre che fare affari nell’import/export, si può anche spaccare monotonia e luoghi comuni. A dividere e condividere con Eliana la fragranza di un rockblues tanto energico quanto coretto, ci sono strumentisti perfettamente adottati alla bisogna: Simone Serafini al basso, Michele Bonivento al piano e all’Hammond e Carmine Bloisi alla batteria, sessionista pregiato che per vicinanza geografica seguiamo, da molti anni, con particolare piacere. Con loro, la dolcissima, ma agguerritissima pantera bianca, che si trova perfettamente a suo agio tanto con i ritmi lenti e stupefacenti del blues che con quelli anfetaminici del rock, ha dato vita a un primo gradevolissimo set, nel quale ha convinto tutti, ma proprio tutti, soprattutto quando ha deliziato la platea con l’interpretazione di Soulshine, una delle tante cose bellissime suonate e cantate dagli Allman Brothers. Non contenta, nel secondo, ha invitato un altro strumentista di casa, Federico Baracchino, uno di quelli che alla chitarra, tanto per intenderci, da del tu da molti anni.

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