di Letizia Lupino

PISTOIA. Ore 21. Stacco da lavoro con la fretta nelle gambe e l’ansia nel cuore con la dubbia certezza di arrivare tardi. Ho avuto la brillante idea di farmi una simpatica passeggiata a piedi perciò, adesso che manca un’ora all’evento, i chilometri che mi separano dalla macchina mi sembrano infiniti come il campo da calcio di Holly e Benji. Afferro la borsa, l’ombrello (nemmeno il meteo aiuta) e il compagno di serata trascinandolo a velocità sostenuta. Non parliamo nemmeno, presa come sono a mettere un piede davanti all’altro e a organizzare mentalmente il tempo che svelto scivola via. Dovremmo cenare. Devo dare cibo al gatto. Ah, mi devo cambiare che là dentro si soffocherà dal caldo, Il biglietto ce l’ho? Il biglietto ce l’hai! Sì, serafico. Il gomito indietreggia, mi volto e il mio accompagnatore mi sorride calmo. Ok. Ho capito. Mi devo rilassare. Ma non posso, non vedo l’ora! Io che negli ultimi mesi ho ascoltato e riascoltato Semplice fino a saperlo a memoria, impazzisco all’idea di non essere già là. Conquistiamo casa, poi la macchina e nel tempo di una sigaretta ho già parcheggiato. Una blanda fila, che a passo di lumaca avanza, si snoda all’ingresso dell’H2NO di Pistoia; ci accodiamo. Stanno controllando. Cazzo, il greenpass, l’ultima volta che mi è servito non lo trovavo! I palpiti si scontrano l’un con l’altro e le mani tremano nel cercare l’authcode.

Se non fosse stato per il mio provvido accompagnatore a quest’ora sarei ancora lì. Biglietto alla mano e timbro sul dorso, facciamo parte della gang; un brivido di giovinezza e di notti brave. La bevuta al bancone del bar è d’obbligo e con il bicchiere in mano assaporiamo l’atmosfera del club, luci bassissime, musica in sottofondo per scaldare gli animi. Siamo arrivati in tempo, in anticipo addirittura. Così, mentre la seconda bevuta già ammezza, le luci si fanno ancora più scure, il segnale inequivocabile che qualcosa sta iniziando. Ci facciamo tutti più vicini al palco. Lepre, nome d’arte di Lorenzo Lemme, ha l’arduo compito di aprire il concerto, scelta azzeccatissima per questo ragazzotto che pare timido con la sua chitarra in mano e invece ci regala un pezzo dietro l’altro che non nascondono le sue sapienti sfaccettature. È la sorpresa che avremmo voluto nell’uovo di Pasqua. L’inizio è promettente e carico di aspettativa quando poi sul palco iniziano a sistemarsi Francesco Chimenti (violoncello e basso), Cesare Petulicchio (batteria), Matteo Scannicchio (tastiere e molto altro) e Giorgio Maria Condemi (chitarre). Ci siamo. Il pubblico fibrilla. E nel suo accattivante essere, Motta, finalmente, sale sul palco. È l’ipertensione dell’attesa dopo mesi di stop che esplode con l’esplodere del riarrangiamento di Prenditi quello che vuoi la prima tappa di un viaggio che durerà solo più di due ore. Motta dona tutto sé stesso con la sua ammaliante carica che trascina tutti, come ipnotizzati. Quello che sta succedendo all’ H2NO è difficile da descrivere, un live che non lascia spazio a dubbi, questi ragazzi ci sanno fare, per usare un eufemismo. Gli strumenti sono una bomba che accendono la miccia e Motta è il detonatore che non si fa attendere. La voce pulita e piena taglia la nostra fame come il magistrale gioco di luci che trasversalmente dal basso sale fino al soffitto come un’ascesa verso il divino. Perché è divinamente naturale il concerto che stiamo vivendo e la scarica di adrenalina ci avvolge e non ci fa distogliere lo sguardo nemmeno per un breve sorso di birra. Motta ci guida in un viaggio psichedelico e l’armonia polistrumentale ci riempie le orecchie tanto da poterci far chiudere anche gli occhi. Ma perché privarci di questo piacere? Il piacere di guardare un’opera d’arte che si sta compiendo. Un Live con la lettera maiuscola, di quelli che ti ricorderai per sempre, non incasellabili in nessun limite, in nessun confine. È chimica o magia o piuttosto, per citare Motta, un sequestro di persona. Volontario, travolgente, appagante. Il susseguirsi delle canzoni, la spinta di un cantautorato di valore, i virtuosismi e la qualità musicale sono un lunghissimo brivido che ci fa dilatare lo sguardo, muovere la testa e cantare con tutta la passione di questo tempo che passa la felicità. Felicità nuda e cruda. Noi e loro. Imprescindibili attori di un potentissimo sentire che non succederà più, almeno non in questo modo. La chiusura poi con Quando guardiamo una rosa è un’onda elettrica e dirompente di scroscianti applausi, l’aspettavamo e nonostante questo ne vorremmo ancora, ancora e ancora. Ma si sa, Felicità a momenti e il momento ci sta scivolando lentamente addosso in una sensazione che non ci abbandonerà tanto presto. I ringraziamenti non si fanno attendere: Motta ci ringrazia, ringrazia Pistoia per avergli regalato una delle sue serate forse migliori. Ma non si rende conto che dovremmo essere noi a ringraziare lui per l’incanto di un’esperienza senza eguali. Così come Pippo dj fautore di eventi impagabili come questo.

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