PISTOIA. Era immaginabile – anche se ci abbiamo fatto la bocca fin da ultimo – che dei suoi due autentici capolavori (Sugo e Diesel) non facesse minimamente cenno, né nota, né strofa. Ed è stato giusto così, perché piazza del Duomo, ieri sera, aveva tutt’altro sapore e intimità e poi, perché ad aspettarlo e poi invitarlo sul palco, c’era già un suo vecchio, ma vecchio davvero, amico, Fabio Treves, con il quale ha spartito parecchie emozioni giovanili milanesi negli anni d’oro della musica, della rivolta, dei sogni. E delle illusioni. E mentre, con la voce di Tom Waits, si cimentava a raccontare la sua Anima blues, noi, sotto il palco, snocciolavamo velocemente i suoi poster, quelli con i quali, dopo averli attaccati al muro, siamo cresciuti. Non diventare grande mai, Scimmia e Scuola, forse no, ma Diesel (brano omonimo del suo terzo Lp; 1977: fu il primo a importare in Italia, con la generazione degli Area, la word music) e Non è nel cuore ci sarebbero anche potute stare, via. O almeno Wil coyote, simpaticissimo brano blues. Nulla. Ma siamo felici lo stesso, perché lo abbiamo rivisto, invecchiato, certo, ma con tutta la classe e l’eleganza britannica che lo hanno sempre contraddistinto. Ah, già; non abbiamo ancora detto che si tratta di Eugenio Finardi, musicista prezioso, poeta irriverente e profondissimo e uno dei pochi illustri istigatori (in)volontari per una generazione che è stata lì, a due passi dalla Rivoluzione.
Archiviamo, ma solo per non tediarvi: non l’abbiamo mai riposti nel cassetto, i concetti romantici e sovversivi e raccontiamo cosa è stata, ieri, la seconda serata di questa edizione Pistoia Blues 2022, seconda, ma prima in piazza del Duomo. Ci sono le seggioline, sul parterre, davanti al palco; segno, inequivocabile, che nonostante l’ingresso sia libero, la Direzione artistica del Festival non preveda un’affluenza vigorosa. Così è, ma per quelli che ci sono va pure meglio: si sta più larghi. Prima della coppia, tutta meneghina, Treves/Finardi, il Blues, quello vero, eh, lo assicurano gli ospiti che li precedono: Cek Franceschetti con i The Stompers, la voce e la sei corde sarde di Francesco Piu e i bresciani dei Superdownhome, che invitano, a impreziosire una formazione già robusta, Mark Feltham e Dennis Greaves dei Nine Below Zero. A chiamare sul palco (ma di nascosto, senza mai prendersi la scena) la sua band, storica e meravigliosa, nonché prima della scena italiana, del Puma di Lambrate, ci pensa Fabrizio Berti, personaggio chiave e storico del Festival. Con Massimo Serra alla batteria e Alessandro Gariazzo alla chitarra e alla voce, Fabio Treves, con la sua armonica, traghetta tutto il pubblico sulle rive del Mississipi, una dolce navigazione che nei paraggi di un piccolo porticciolo naturale lungo il corso, da dove salirà a bordo Eugenio Finardi, diventa un piacevole e doveroso omaggio, quasi un tripudio, vista l’efficacia strumentale, ad alcuni padri storici, come Carlos Santana, Gary Moore e i Rolling Stones, un medley stratosferico, introdotto, a sua volta, da una rilettura di Midnight special, dei leggendari Sonny Terry e Brownie McGhee, che invita e accompagna Finardi a unirsi al gruppo. L’ultima ora, la ventiquattresima di venerdì 8 luglio, per la precisione, è un saggio di musica e amicizia, struggenti ricordi e indelebili nostalgie, blues e rockblues, per buona pace del resto della città, che alla musica, alla cultura e all’aria della piazza preferisce accalcarsi nelle anguste vie del centro a ritmare nichilismo e stordimento con percussioni d’occasione.