AGLIANA (PT). Ballate, sorridete, divertitevi e godete tanto; non sappiamo quanto tempo manchi alla fine, ma quello che resta, occupatelo così. Non lo ha detto esplicitamente, ma lo ha fatto capire con ogni sua canzone, arpeggiando con la sua chitarra, in tutti i suoi intermezzi narrativi. Sì, certo, i capelli, quei pochi che gli sono rimasti, non sono più mossi, neri e fluenti, ma bianchi e ben incollati alla testa. E anche il corpo, un po’ imbolsito dall’età (settantasei anni compiuti in questo mese), non può più essere paragonato a una meravigliosa libellula sudamericana. La voce, però, la voglia, la tristezza, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria e la maestria nel suonare sono esattamente quelle di oltre cinquant’anni fa, quando con gli altri della corrente nuovista della bossanova, dette vita a uno dei movimenti più importanti della musica al mondo, quello che si costituì attorno a Rio de Janeiro. Con Toquinho, infatti, prima che la dittatura militare suggerì loro di scappare in Europa, in quel circolo si ritrovarono, come per magia, Chico Buarque de Hollanda, Caetano Veloso, Gilberto Gil, Joao Glberto, Tom Jobim, Baden Powel, Roberto Menescal e altri, tutti stregati dalla poesia di Vinicius de Moraes. Ieri sera, nel parco Carabattole di Agliana, uno dei tanti, tutti legittimi, figli dell’indimenticabile Ragazza di Ipanema, Antonio Pecci Filho, da San Paolo du Brasil, con nonni, chiaramente italiani, ribattezzato Toquinho dalla nonna materna dopo che gli amici, come usa in Brasile, lo avevano già rinominato Toninho, in compagnia di due abili strumentisti conterranei, Mauro Martins alla batteria e Dudù Penz al basso, ha ancora una volta dimostrato come la bossanova, più che un genere musicale, è davvero uno stile di vita.

Perché dentro quel sound, in quelle note, nella voce sussurrata, ci si ritrova, puntualmente, tutto quello che contraddistingue le nostre giornate delle nostre esistenze. A dar manforte alla meravigliosa, leggera atmosfera di comprovata saudade, a concerto avviato, sul palco, improvvisamente, è apparsa Camilla Faustino, giovane poderosa voce carioca, che si è impadronita della scena fino al terzo e ultimo bis della scaletta, dando ulteriormente forza e corpo a un’esibizione degna delle migliori occasioni, anche se, ad Agliana, il nome altisonante dell’artista brasiliano, con indimenticabili trascorsi in Italia in compagnia di una delle voci più belle dell’Universo, Ornella Vanoni, vista la numerica modestia del pubblico, non sembra aver esercitato mirabolanti attrazioni. Peccato, perché un’esibizione così profonda e morbida, ricca e apparentemente povera, che si è sorretta attorno al meraviglioso groove strumentale sul palco, che si è inevitabilmente trasformato in un calorosissimo gradito e applaudito concerto, meritava davvero una platea decisamente più robusta. Certo, ai presenti, dei disertori, non è interessato molto, ma sarebbe stato decisamente spettacolo ancor più emozionante se, all’intonazione degli ultimi brani, ad alzarsi e mettersi a ballare sotto il palcoscenico, anziché poche decine di irriducibili, ci fossero state molte più persone. Perché non è stato un semplice tuffarsi nella musica brasiliana degli ultimi sessant’anni, ma rivivere una storia, seppur conosciuta, ancora bella da sentirsi raccontare. E le incontrovertibili origini italiane hanno consentito a Toquinho, tra un’esibizione e la successiva, di intrattenere il pubblico conversando con estrema facilità e naturalezza, quelle che del resto hanno sempre accompagnato il suo sound.

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