FIRENZE. Quando lui e la sua band esplosero, noi, suoi coetanei, ascoltavamo altro; per sound, per groove, per scelta, soprattutto perché non avremmo potuto fare diversamente, visto il condizionamento politico. Ascoltare, a scelta, i Duran Duran o gli Spandau Ballet – erano loro, negli anni ’80, che si contendevano lo scettro della new wawe mondiale - non deponeva benefici al nostro odioso e miope impegno, che non ci suggerì nemmeno di indagare su quel nome strano con il quale la formazione britannica aveva deciso di battezzarsi. Questa piccola premessa serve a giustificare il nostro stupore alla vista, ieri sera, di un Tuscany Hall gremito, sold out, come si dice, per il concerto di Tony Hadley, l’anima e la voce degli Span’s, che ha regalato, accompagnato da una signora band, The Fabolous TH Band, con una vocalista alle percussioni di rara potenza e allegria, un’ora e mezza di assoluta, piacevole e composta nostalgia, inanellando alcuni dei motivi che sono entrati, di diritto, nell’immaginario collettivo di un’epoca, nonostante tutto, nonostante le grandi manovre dei servizi segreti e delle Mafie, tra le più fertili e spensierate dell’umanità. Lui, l’ex frontman degli Spandau Ballet, si è presentato in abito grigio, con la giacca che, nonostante i balletti, gli sforzi del diaframma, il caldo da prestazione e palcoscenico e l’inevitabile arrotondamento della conformazione addominale dell’età, durante l’intera esibizione non gli si è mai sbottonata.
Qualche pezzo della sua ultima raccolta, Obvious, un omaggio, nel bel bezzo del concerto, ai leggendari Queen, particolarmente emozionante, Somebody to love e i suoi, loro, meglio dire, di Gary Kemp, chitarrista e autore di quasi tutte le canzoni, pezzi iconici: True, Gold, Through the barricades e altri brani del loro primo e fulmicotonico repertorio, quello relativo ai quattro album in sequenza, dal secondo al quinto della loro produzione: Diamond, True, Parade e Through the barricades, dal 1982 al 1986, un lustro fecondissimo, con il quale Tony Hadley si è guadagnato un posto di tutto rispetto nell’olimpo musicale. Il concerto, impreziosito dai ripetuti ringraziamenti a Firenze e al suo popolo del Tuscany Hall, ha avuto un esemplare decorso professionale; iniziato poco dopo le 21, non è incorso in alcun contrattempo, né tecnico, né strumentale. Il tastierista, il bassista, il chitarrista e la percussionista, anima ribelle, freak, ma dotata di un’eccellente estensione canora, hanno supportato, nel migliore dei modi, il fiore all’occhiello di una serata concentrata sulla memoria, affatto invecchiata, lunga quarant’anni; un revival perfettamente oliato dal tempo che non ha comunque alterato, di un solo atomo, la stesura originaria di tutte le canzoni proposte in scaletta, anche perché la voce di Tony Hadley sembra davvero aver pattuito, con il diavolo dei concerti, un patto d’acciaio. Il resto, è storia di esibizioni live post pandemia, con le mascherine volutamente dimenticate a casa e una voglia, bellissima, quasi insana, di riprendersi la felicità. Così è stato nelle molte date britanniche e così è stato, per questo tour mondiale, in Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Filippine, con uno stuolo di cinquantenni e oltre, massimamente rappresentato dalle quote rosa, quelle che, tra il 1982 e il 1986, quando gli Spandau Ballet si imposero all’attenzione cosmica, ballarono, sognando che il loro principe azzurro somigliasse un po’ a Tony Hadley, o a qualche altro frontman rockettaro. Giorni fa, Tony e la sua The Fabolous TH Band, si sono esibiti a Ferrara, con l’incasso della serata interamente devoluto a un centro di prevenzione oncologica infantile. Avremmo fatto meglio a informarci un po’, quando eravamo ventenni, perché il gruppo che abbiamo tutto sommato snobbato, avesse scelto il nome Spandau Ballet; avremmo saputo che era in onore dei morti sui fili spinati trucidati dai nazisti: ieri sera, forse, al cospetto del tutto esaurito, ci saremmo potuti e dovuti meravigliarci meno.