PISTOIA. Osservare Ilenia Romano e Giselda Ranieri mentre ballano è una gioia per gli occhi. Ma anche per i sensi. La vista è rinfrancata dalla sinuosità dei movimenti della prima e dallo scandire, ammiccante, di quelli della seconda. Il complesso di tutti e cinque in nostro possesso viene regolarmente sollecitato dalla ludica perfezione dei battiti cardiaci con i quali, le due ballerine, che sono, alla bisogna, coriste, ma anche semplici coreografie di una scena semplicemente musicale, hanno un privilegiato armonioso rapporto. La musica sulla quale accendono ogni tipo di sensazione sentimentale è quella offerta dalle percussioni (lo riassumiamo così il suo universo strumentale) di Marco Zanotti, elemento indispensabile, con Zam Moustapha Dembélé (voce e strumentista maliano) di Mbira, lo spettacolo di musica/danza e qualche parola di troppo di Roberto Castello, che ha illuminato e scatenato l’inferno ieri sera al Funaro di Pistoia, suggerendo anche a modestissimi normoarticolati di tentare l’inosabile: tentare di ballare, addirittura ispirandosi alle inimitabili movenze dei corpi chimicamente predisposti alla danza, che coincidono, quasi mai, con quelli che fanno Pilates per sentirsi ancora agili.

Ma torniamo sul palco, anche se al Funaro è proprio lì, davanti alla prima fila degli spettatori, ieri ancor più vicini vista l’irrefrenabile massiccia affluenza di pubblico addomesticata da una scomodissima panca in legno aggiunta dalla Direzione dell’Associazione che fa ormai parte, finalmente, dell’Atp, sulla quale abbiamo, dolorosamente, trovato posto (qualche volta, però, noi fortunati spettatori non paganti, possiamo anche sopportare, eh). E torniamo a parlare di M’bira, con l’apostrofo soppresso per esigenze fonetiche, uno strumento tipico dell’Africa sudorientale che è semplicemente composto da lamelle metalliche fissate su una base lignea con o senza cassa di risonanza e che si suona, semplicemente, facendo pressione sulle estremità libere con i polpastrelli dei pollici (con Tony Esposito, una delle tante anime di Pino Daniele, quello strumento è diventato sanza). Basta intromettere, e avanza pure, uno strumento appartenente a ben altra cultura per trasformare, in politica attiva, accogliente, assorbente, un meraviglioso spettacolo dal vivo. Non occorre, insomma, a cappello ed epilogo della rappresentazione, ipotizzare che tra il pubblico presente, estrazione idealtipica di ben più nutrita percentuale umana, siano in pochi a conoscere l’Africa, men che mai il Biafra, piccolissimo e poverissimo Stato secessionista della più vasta Nigeria che ebbe vita solo per poco più di tre anni, tra il 1967 e il 1970, prima che le varie e innumerevoli etnie nazionali ne decretassero la fine, minuscolo e cortissimo interregno che è comunque valso, per le sue drammatiche condizioni economiche, a diventare tragica e omonima esperienza di fame e morte. Ma ieri sera, al di là delle più o meno conclamate pecche conoscitive di storia continentale, il pubblico, pur ignorando una serie di dettagli alla fin fine superflui, all’istanza e all’istante, si è divertito molto, grazie, ribadiamo, a una concatenazione artistica che si è sviluppata attorno alla melodia romantica dell’esordio che si è trasformata, nel giro di breve e grazie alla simultanea traduzione corporea di Ilenia Romano, woman in red, la prima a scendere nell’anfiteatro, in una magnifica danza tribale, assecondata al totale successo dall’intervento, sulla scena, di Giselda Ranieri (la genovese scappata di casa), che ha aggiunto al giunco originario nuova linfa ritmica e qualche conturbante ammiccamento. Due donne bianche, italiane, occidentali, che danzano meravigliosamente sulle note di una muisca, ma la musica tutta non ha tempo, né razza, eseguita magistralmente; a questo ci auguravamo di assistere e questo, per fortuna, abbiamo ricevuto.  

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