PISTOIA. Non conosciamo l’inglese. E per questo, prima di spostare nella leggenda dei nostri sentimenti alcuni brani che hanno fatto la storia, abbiamo dovuto aver cura, dei testi, di leggerne le traduzioni, anche se, come insegna Emma Dante, non è la parola fine a sé stessa a generare emozioni (andatevi a vedere Le sorelle Macaluso e/o Misericordia e capirete quanto sia vero), ma il suo contesto, la sua offerta, il suo modo. I Baustelle, per la prima volta, ieri sera, sul palco del Festival Blues, sono stati la cosa più interessante per le casse di questa 42esima edizione; tanta gente, siamo pronti a immaginare e addirittura a scommettere, non si è registrata prima e non si potrà contare per le serate che verranno, ancora quattro e tutte di assoluto rispetto. Non ci hanno mai fatto impazzire, i Baustelle, ma non potevamo certo perdere l’occasione, ultra privilegiata, di vederli all’opera a centocinquanta metri dalla nostra abitazione e, soprattutto, con il favore, non da poco, di avere l’acceso gratuito con l’impegno, non scritto, ma inevitabile, di recensirne le gesta. Non essendo estimatori incalliti, di Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini (i tre di Montepulciano), le loro canzoni, melodicamente amabili, ma non certo evocanti Elvis, checchesenedica, è morto, non le conosciamo come la stragrande maggioranza delle migliaia che ieri sera hanno finalmente dato un senso a Piazza del Duomo durante il Festival e per comprenderne il significato avremmo dovuto ascoltarle bene, per apprezzarne, eventualmente, il messaggio. Prima di sentenziare che non dipendesse unicamente dalla nostra cattiva percezione, non certo condizionata, né prevenuta, abbiamo chiesto a più di uno spettatore meno vicino alle balaustre per capire che non si trattasse di una nostra ingiustificata sensazione; abbiamo avuto tristemente conferma: non si capiva cosa cantassero, come se si esibissero in altro idioma. Ma la festa di Elvis tour c’è stata e non saremo certo noi a rovinarla, né tanto meno ad avere la presunzione e la benché minima voglia di volerlo fare. Anche perché, oltre allo zoccolo duro senese, sul palco, un po’ troppo indietro (ubicazione che ha creato più di un problema ai fotografi, Fiorenzo Govannelli compreso, che ce n’ha offerta, come spesso accade, una delle sue), ci sono stati Alberto Bazzoli alle tastiere, Lorenzo Fornabaio alla chitarra elettrica, Julie Ant alla batteria e Milo Scaglioni al basso, quattro strumentisti che non hanno bisogno di prendere lezioni da nessuno per avere il pieno titolo di fare concerti. Insomma, una serata finalmente carica dei connotati del Festival che non ha però scatenato quanto promesso dagli stessi protagonisti alla vigilia: … Siamo elettrizzati all’idea di portare nei festival questi concerti che sono sempre più suonati, diretti, più rock and roll, rhytm and blues. Prima di loro, sul palco della Piazza, il metropolitano Filo Vals, Maurizio Pirovano, gli indigeni antico germoglio, gli Overa (Gianluca Barontini e Stefano Nerozzi alle chitarre, Alessandro Pacini alla batteria e Andrea Signorini al basso con Paolo Ferro alla voce e Pasquale Scalzi a flicorno e organetto) e gli emiliani (di Modena), EGO59, vincitori di uno dei Contest che precedono la manifestazione; durante, invece, un piccolo incidente diplomatico: una ragazza, del servizio d’ordine, tra l’altro, dopo aver chiesto al carabiniere in divisa che lo teneva al guinzaglio se avesse potuto accarezzarlo, il pastore belga, è stata morsa sul viso, con tanto di intervento dei sanitari e il trasporto al Pronto Soccorso per cure e valutazioni mediche.