PISTOIA. Per fortuna (nostra), durante l’esibizione e poi, un attimo prima di congedarsi dal pubblico, Lindsey Stirling (la foto è di Fiorenzo Giovannelli), ha dato un suggestivo e magico tocco di Johann Sebastian Bach e un omaggio, doveroso e indispensabile, al cosmo rock and roll, con le tonalità, supportate dal poderoso batterista, di Kashmir, dei Led Zeppelin altrimenti - ma dipenderà dall’età che incombe, temperature decisamente impegnative e la stanchezza che non può che conseguirne - saremmo stati convinti che durante l’abbondante ora di concerto, la ginnica violinista californiana avesse suonato sempre il medesimo brano, oscillando, con energica armonia, dall’hip hop al country, ma finendo per fonderli nella sua fisicità sonora. Non vogliamo fare del sarcasmo, naturalmente, né ci consentiremmo il lusso di farlo, non foss’altro per il rispetto del migliaio di spettatori che hanno popolato e applaudito la rappresentazione musicale e di danza, ma che fossero brani di Snow Waltz, ultima incisione della dubsteppista americana, o dei cinque album precedenti, credeteci, non ce ne saremmo accorti. Le uniche presenze fisse sul palco, oltre alla peripatetica strumentista, sono state quella del batterista e dell'organista, che si è trasformato, quest'ultimo, di rado, in chitarrista, effettuando delle piccole incursioni e quelle, spalmate lungo tutto il concerto, di una voce femminile (registrata) che ha popolato di idiomi le canzoni. Ma la di là dei nostri gusti, sempre meno sfamabili, perché anelanti sapori antichi e retrogusti dimenticati, ci sfugge la scelta dell’organizzazione di dedicarle una serata solista in questa 42esima edizione del Festival Blues specie all’indomani di una notte particolarmente trafficata, tanto che ha costretto musicisti di grosso calibro (la band di Gennaro Porcelli e quella di Ana Popovic) di suonare con il sole ancora di traverso e per un tempo, oggettivamente, troppo avaro. Certo, domenica era la serata Blues per eccellenza e visto il latitare cosmico (non solo a Pistoia, beninteso) di questo genere che definisce, a fuoco, la manifestazione, quelle tonalità si sarebbero potuto bissare il giorno successivo, consentendo così ai Dirty Honey e ai Wolfmother di stare un po’ più larghi. Non siamo manager, si vede e si capisce, ma attenti, seppur privilegiati (mai dimenticare che ai concerti ci invitano, con il sorriso), spettatori e la scelta di mandare nell’Arena del Blues la trentasettenne californiana da sola, ci è parsa, senza titubanze, quanto meno azzardata e, in un’ottica di rappresentanza, feeling e incassi, poco sensata. E non ci riferiamo al fatto che Pippicalzelunghe del violino (che passa poco tempo a fare chiacchiere, preferendo i duri esercizi della palestra e che non si scarabocchia il corpo, piacevolissimo, con tribali, piante, palloncini, nomi, frasi, animali, cose, città e tramonti che tra qualche decennio saranno il segnale indelebile della decadenza di questa generazione) debba il proprio successo alla nuova forma di comunicazione, che non sono i concerti e/o i dischi, ma le visualizzazioni su You Tube; la nuova frontiera del gradimento passa da questo filtro falsamente democratico, o tragicamente democratico, visto che in democrazia due stupidi valgono più, anzi, il doppio, di un intelligente.

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